Lo scempio delle lastricature

UCTAT Newsletter n.32 – marzo 2021

di Alessandro Ubertazzi

Costretti a camminare “guardando per terra” per non inciampare, gli esseri umani solitamente prestano particolare attenzione alla tipologia e alla qualità del suolo: fin dai tempi piú antichi le sagge amministrazioni (mi riferisco soprattutto al periodo romano) hanno provveduto a lastricare gli spazi urbani piú significativi: non solo le piazze destinate ai pedoni ma le stesse strade carrabili.

Con tutta evidenza, la natura e la qualità di una pavimentazione urbana contribuisce in modo determinante alla formazione della sua identitá percepibile dai cittadini: pavimentazioni regolari e ben calibrate restituiscono, infatti, un’idea di cittá accogliente, mentre pavimentazioni sconnesse o caratterizzate da buchi (come, ad esempio, oggi a Roma) generano profondo malcontento e disapprovazione.

Quando ero bambino mi incuriosiva osservare con quanta cura e con quanta maestría certi abili spaccapietre rettificassero i conci dei lastricati cittadini (soprattutto in porfiroide rosa di Cuasso al Monte, sienite della Balma di Andorno, serizzi vari, granito bianco di Montorfano e perfino l’arenaria silicica di Monterosso proveniente dalla Cinque Terre) con la mazza e lo scalpello: poiché la loro vigorosa azione sprigionava un noioso pulviscolo e tante piccola schegge di granito, essi proteggevano gli occhi con una fine griglia metallica.

Tanto impegno (propedeutico a un’elegante e curata rifinitura delle principali arterie cittadine) (figg. 1 e 2) oggi è purtroppo ampiamente sostituito dal pressapochismo degli imprenditori e da maestranze prive di un’adeguata professionalità.

Sulla spinta di una malintesa modernità e, soprattutto, a causa dello strapotere non disinteressato della lobby dei sottoprodotti della lavorazione del petrolio, un furore iconoclasta ha colpito Milano (e moltissimi altri luoghi urbani di tutto il Paese); a partire dagli anni Settanta, molte strade e molte piazze, sostanzialmente pedonali, del centro storico hanno perso la loro longeva livrea originaria di materiale lapideo per subire una più attuale e “comoda” asfaltatura.

In seguito allo smantellamento degli antichi lastricati, molto spesso le pregiate pietre squadrate di “massello” lapideo sono state sbrigativamente caricate su autocarri che avrebbero dovuto purtroppo “conferirle alle pubbliche discariche” (sic!); in verità, una buona parte di esse ha preso la via della Brianza per pavimentare corti, cortili e porticati delle ville dei più furbi. Qualcuno, infatti, mi ha confessato candidamente che, con una piccola mancia, i suddetti camions recavano i preziosi masselli direttamente alle residenze di coloro che avevano colto un’imperdibile opportunità in quella demenziale operazione.

Certo, una parte dei conci di pietra asportati da piazze e strade è stata comunque ammucchiata negli stracarichi depositi comunali: tutto ció nell’ingenua ipotesi che, all’occorrenza, essi potessero servire a riparare le pavimentazioni ancora rimaste in funzione, reintegrando correttamente (cioè con materiali analoghi a quelli esistenti) i conci rotti o consumati (fig. 3).

Leggende metropolitane sostengono che, su certe strade del centro considerate storiche ovvero paesisticamente rilevanti, la Soprintendenza impedisse (e certo impedirebbe tutt’ora) l’eradicamento dei lastricati lapidei: in astratto, l’intenzione è certo lodevole ma, in realtà e come ho già fatto notare in passato (1), questa pratica non tiene conto delle loro mutate condizioni d’uso imposte soprattutto dal traffico veicolare.

Soprattutto nelle arterie che, nonostante tutto, ospitano le rotaie sulle quali passano ancora dei tram, i “pentagoni” (così chiamati per la loro forma) di materiale lapideo (figg. 4-6) vengono sistematicamente scardinati e malamente sconnessi dal passaggio dei mezzi pesanti. Il motivo è semplice da spiegare: tali pentagoni venivano e tutt’ora vengono posati diagonalmente rispetto alla direzione dei binari con l’intenzione di ottenerne una sorta di “autobloccaggio” perché la pavimentazione resista al traffico veicolare.

Benché esistano certamente anche altri modi di posarle, a Milano, le rotaie sono tutt’ora ancorate a “traversine” di legno disposte trasversalmente all’andamento di quelle: nel caso delle vie lastricate, tali travi in legno sono semplicemente coperte dal manto lapideo di “pentagoni”. Sottoposti al carico dinamico degli attuali mezzi di trasporto e, comunque, di quelli pesanti (come autobus, camions e pullmans originariamente non previsti da un traffico sostanzialmente affidato ai carri e alle carrozze), le traversine si inflettono e si inarcano svellendo i conci di pietra della lastricatura: questi perdono progressivamente la loro complanarità e costituiscono perció un grave pregiudizio per la circolazione delle autovetture e, soprattutto, per i veicoli “minori”, come le biciclette e gli scooters. Tale situazione è acutizzata dal fatto che, a differenza della cura che gli antichi ponevano nella manutenzione di quelle pavimentazioni, i blocchi di pietra sono ripetutamente e reiteratamente movimentati da pale meccaniche manovrate da operai frettolosi incuranti di sbeccarle e di sbertucciarle. Degradate e alterate rispetto alla loro iniziale, virtuosa ed elegante geometria, le lastre non sono piú correttamente “costrette” le une contro le altre e, perciò, contrastate e… infatti, sono libere di muoversi.

Lá dove le vecchie pietre non sono più autobloccanti perché divenute troppo imprecise per le sbeccature ovvero perché rotte o, infine, perché malamente posate, la lastricatura viene spesso rozzamente stilata, ad esempio, con asfalto colato nelle fessure (figg. 7-10).

Per imperizia e per semplicismo, lo spazio lasciato fra un concio e l’altro delle pavimentazioni, piú volte malamente rifatte, oggi è spesso cosí ampio da costituire un grave pericolo per i ciclisti: le ruote delle biciclette, infatti, rischiano di infilarsi nei solchi che si trovano fra quelli (figg. 11-14).

Nella perversa logica di mantenere un manto lapideo lungo le vie percorse tutt’ora dai tram e simultaneamente dal traffico veicolare piú o meno pesante, credo che la sistematica ma sommaria riparazione dei danni inferti alla pavimentazione costi una grande, quanto inutile, quantità di denaro all’Amministrazione.

Peraltro, nella migliore delle ipotesi, i lastricati sono di volta in volta reintegrati “a casaccio” introducendo conci di diversa natura e colore, di diversa origine litologica (figg. 15-16).

Raffinate pavimentazioni di porfiroide rosa di Cuasso al Monte subiscono innesti e integrazioni con sienite della Balma di Andorno; pavimentazioni di bianco di Montorfano sono costrette ad accogliere, qua e lá, improbabili conci di Porfido della Valcamonica ovvero di serizzo della Val Másino, ecc.

Nel nostro Paese (che non prevede “cunicoli attrezzati” interrati nel sottosuolo atti a ospitare i sottoservizi di cui le città necessitano), le pavimentazioni lapidee vengono ripetutamente ma maldestralmente rimosse piú e piú volte per accedere alle reti che esse nascondono, moltiplicando i disastrosi effetti di cui sopra.

Il risultato percepibile di simili operazioni, contraddice apertamente l’ipotesi per la quale la pavimentazione in conci era inizialmente prevista e poi virtuosamente confermata sulla base di motivi paesistici.

Anche i maestosi “cordoli” di granito, un tempo egregiamente rifiniti da spaccapietre magistrali, vengono ripetutamente ma rozzamente rimossi dalla loro sede con bracci meccanici che li spaccano o li sbeccano per poi rimetterli al loro posto vistosamente degradati e sconciati  (fig. 17).

E’ evidente che, nella conservazione delle pavimentazioni in materiale lapideo ancora presenti (figg. 18-21), le Soprintendenze e le Commissioni ambientali vorrebbero confermare e tramandare l’aspetto della città storica, a futura memoria.

Tuttavia, una pavimentazione in pietra curata nelle sue rifiniture è tanto bella quanto una lastricatura grossolanamente mantenuta e riparata appare inutilmente volgare e folkloristica (gli inglesi direbbero “pittoresca”).

Possibile che nessuno si ponga il problema?

Possibile che non ci siano mezzi per impedire questo sistematico scempio?

Delle due l’una!

Sulle strade nelle quali l’Azienda Municipale dei Trasporti persiste nel lasciare le rotaie dei tram “posate all’antica” (cioè fissate su traversine di legno poi coperte dal lastricato lapideo), il traffico veicolare pesante dovrebbe essere impedito simultaneamente dalla Amministrazione (che peraltro sostiene gli incalcolabili costi) e dai responsabili del Decoro Urbano (che hanno a cuore l’aspetto filologico dei luoghi oltreché la loro qualitá generale).

Se, invece, nonostante tutto, il traffico su gomma continua a coesistere con quello su rotaia, si deve, peró, introdurre un’altra, diversa e piú idonea tecnica di posa delle rotaie e perciò di pavimentazione che la salvaguardi dal suddetto rapido, inesorabile degrado.

Se, viceversa, la tecnica di ancoraggio dei binari non puó essere cambiata, occorre prevedere altri tipi di pavimentazione; in tal caso, le pietre che ora le rifiniscono potrebbero essere spostate in altri spazi, ad esempio quelli dedicati alla pedonalità.

Alla luce di quanto detto piú sopra, che costituisce una esplicita accusa di cattiva e disinformata amministrazione (a piú livelli), rivolgo comunque ai responsabili del Decoro Urbano la formale richiesta che i capitolati per la realizzazione dei lavori sulle pavimentazioni lapidee esistenti non si limitino a imporre la numerazione dei conci (per poterli semplicemente collocare nella loro posizione reciproca iniziale) ma che rechino indicazioni specifiche sulle modalità di spostamento (cioè senza pale meccaniche e comunque senza che essi siano sbeccati o rovinati bensí, semmai, che siano “restaurati” nel pieno significato del termine).

Una cittá come Milano, caratterizzata da un cosí vasto sistema di spazi pavimentati in masselli lapidei, potrebbe benissimo dotarsi di squadre di scalpellini (magari grazie a qualche sponsor) che lavorino alla salvaguardia di quegli artefatti di conclamata valenza identitaria.

Nota.

1.

Alessandro Ubertazzi, Le strade di Milano, in “Casabella” n. 447-448, Gruppo Electa, Milano, maggio giugno 1979, pag. 7.

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Didascalie

Figg. 1-2.

Milano, via Tortona; particolari della pavimentazione in lastre di Porfiroide rosa di Cuasso al monte ancora piuttosto ben conservata.
Si noti la cura con la quale i conci sono stati rifiniti sia sulla faccia superiore che sui bordi e la precisione con la quale sono stati posati.
Le lastre in materiale lapideo sono disposte a file parallele, ciascuna di “altezza variabile ma obbligata” e di lunghezza “a correre”.

Fig. 3.

Milano, corso Magenta; l’immagine mostra un esempio di rifacimento della pavimentazione stradale a seguito della manutenzione e sostituzione dei sottostanti binari del tram.
Nonostante la relativa cura nel conferire al manto lapideo una certa compattezza a complanaritá, si riscontrano diversi fattori assolutamente censurabili.
Se si prescinde dall’esistenza delle traversine in legno (che, in quanto elastiche, sotto l’azione del traffico pesante, col tempo produrrá certamente lo svellimento dei conci) non si comprende il motivo per il quale i pentagoni e i rettangoli del manto siano stati cosí vistosamente mescolati senza suddividerli previamente secondo la loro originaria tipologia materica e cromatica: ne risulta una goffa arlecchinata, oltretutto svilita dalla colatura di asfalto nei solchi fra una pietra e l’altra.
Quanto lontana è questa pavimentazione rispetto a quelle tradizionali!

Figg. 4-6.

Milano, via San Giovanni sul muro e corso di Porta Genova; le immagini in questione evidenziano soprattutto gli effetti del traffico veicolare sulle traversine alle quali sono ancorati i binari sottostanti alla pavimentazione (costituita da “pentagoni” distanziati da rettangoli disposti diagonalmente rispetto al senso dei binari); sotto il carico dinamico del traffico di autobus e camions. I conci in pietra, oltretutto scarsamente contrastati per la loro imprecisione, escono dalla loro posizione con grave pregiudizio per gli automezzi e soprattutto per i ciclisti.
A causa della difficoltà di ottenere che le pietre restino nella loro sede esse sono state grossolanamente sostituite con getti di calcestruzzo o di asfalto.
Si nota, altresì, quanto vistose siano le imperfezioni delle lastre.

Figg. 7-10.

Milano, viale Gorizia; in queste immagini si osservano con chiarezza le tecniche grossolane oltreché sostanzialmente inutili messe in atto per riparare i danni provocati dal movimento o dalla fuoriuscita delle pietre dalla loro sede: i conci tolti dalla pavimentazione in seguito allo smantellamento e alla ricostituzione del manto, a seguito dell’aggiornamento della rete di binari ovvero per il reiterato accesso ai sottosistemi dei servizi interrelati sotto la sede stradale, in presenza si  traffico veicolare, le pietre mal posizionate (in quanto non piú auto contrastate a causa della loro imprecisione) nella migliore delle ipotesi vengono risarcite con asfalto altrimenti evidenziano pericolosissimi avvallamenti, crateri e fenditure.

Figg. 11-14.

Milano, viale Gorizia lungo la Darsena: in queste immagini è evidente che l’azione combinata delle pietre smosse (a causa del traffico con la pessima messa in opera di ulteriore lapideo privo di adeguato ricondizionamento ad opera di provetti scalpellini) genera una sgradevole percezione estetica dell’ambiente oltreché, specialmente, pericolo per il traffico ciclistico.

Figg. 15-16.

Milano, viale Gorizia e corso di Porta Genova;, in queste due immagini si riscontra soprattutto il danno estetico risultante dall’utilizzo di conci di varia natura litologica e provenienza: l’elegante uniformità del manto originario (corrispondente alla prima installazione di materiale proveniente ovviamente da un’unica cava, secondo l’appalto iniziale), a seguito delle ripetute operazioni di smantellamento dei conci e di ricostruzione della superficie carrabile con mezzi inappropriati è totalmente contraddetta dalla sommarietà di tale modo di procedere.
Sembra quasi che i committenti dei lavori (di volta in volta l’Amministrazione Comunale o quella delle sue partecipate come, ad esempio, ATM, MM, ecc.) non siano in grado di percepire il danno estetico inferto a questo genere di pavimentazione… “costrette” a mantenere un lastricato lá dove se ne potrebbe fare a meno esse adducono certamente la scusa che procedimenti atti a mantenere l’aspetto originario della lastricatura “costerebbe eccessivamente”.
Personalmente, piuttosto che dovere sopportare simili oscenità, preferisco rinunciare a una pavimentazione in pietra destinandola ai soli ambienti pedonali.

Fig. 17.

Milano, via Vigevano; l’immensa casistica di danni inferti alla lastricatura delle strade e delle piazze della cittá di Milano ( ma ció vale, evidentemente, anche per molti altri luoghi urbani) dovrebbe costringere i vari livelli delle amministrazioni (Soprintendenza e Assessorato preposti al Decoro Urbano) ad esaminare finalmente con serietà questo problema: nell’immagine si vede un cordolo di marciapiede sconciato da rotture.

Figg. 18-21.

Milano, piazzetta Belgioioso e via Torino; con riferimento alle figg. 1 e 2, in queste quattro si riscontra l’oscenitá del modo di procedere nella ricostituzione di un lastricato a seguito dell’accesso al sottosuolo.
Assolutamente liberi di operare, senza cioè prescrizioni di carattere estetico, operai improvvisati (ai quali è stato insegnato a manovrare bracci meccanici ma non la qualità dei risultati) sono soliti scardinare le pietre dal manto massacrandole.
E’ evidente che il risultato finale non corrisponde alle qualità minime indispensabili di decoro urbano restituendo, invece, quell’ingnobile “rusticità” riferita a una improbabile patina del tempo.

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