UCTAT Newsletter n.30 – gennaio 2021
di Arturo Majocchi
Già da una inchiesta del 1961 sulle periferie e da incontri con i comitati di quartieri, sorti inizialmente per chiedere ciò che per le periferie era un diritto, e con gli amministratori che iniziavano a prendere contatti con la realtà cittadina, si è sviluppato e affermato il concetto di decentramento. Ovvero la istituzionalizzazione della città decentrata, consegnando poteri effettivi a un nuovo livello di governo cittadino. In quegli anni la mobilitazione dei comitati divenne un concreto terreno di battaglia, scontro tra interessi, posizioni politiche, culture. Ancora oggi la rinnovata richiesta di partecipazione sia di cittadini che anche degli organi decentrati delle strutture amministrative e politiche denota il permanere di un distacco tra i cittadini e l’ente locale incaricato di gestire la comunità.
Nel 1963 fu insediata la prima commissione interassessorile per lo studio del decentramento amministrativo e fu presentata la prima proposta di regolamento degli organi di decentramento democratico, per lo sviluppo della vita nei quartieri attraverso il decentramento dei servizi di stato civile comunali e per la creazione di organi democratici periferici. Si era ancora nella fase della confusione tra decentramento dei servizi e decentramento politico-amministrativo (da segnalare in quegli anni il grande ruolo che ebbero PCI, PSI e Andrea Borruso della sinistra DC).
Durante gli anni 1966/67 i partiti della sinistra promossero ufficialmente la presenza dei cittadini all’interno della politica del territorio e l’allora Sindaco Pietro Bucalossi (PSDI), creò il primo Ufficio Decentramento, rappresentativo nel 1968 di più di 60 comitati di quartiere, sorti spontaneamente nelle diverse realtà territoriali. Successivamente il Sindaco Aldo Aniasi (PSI) istituì i primi Consigli di Zona in 20 zone della città, con le quali era stato suddiviso l’intero territorio comunale, con relativo Regolamento che prevedeva 20 Consiglieri nominati dai partiti e un Aggiunto nominato dallo stesso Sindaco. Il Consiglio di Zona aveva poteri propositivi e consultivi (favorevoli a questa prima forma istituzionale di decentramento furono appunto PCI, PSI e sinistra DC).
Solo nel 1975 il Sindaco Aniasi fece approvare un nuovo e più avanzato Regolamento, che prevedeva l’elezione diretta dei consiglieri, che avvenne di fatto nel 1980 con Sindaco Carlo Tognoli (PSI).
E’ necessario però ricordare come durante il quinquennio 1975/1980 venne approvata la LN n.278/76 sulle norme e partecipazione dei cittadini alla amministrazione comunale. Dopo le elezioni del 1980 ciascun Consiglio di Zona fu dotato di sede e personale decentrato dall’amministrazione comunale; ad esso furono riconosciuti non solo poteri consultivi/propositivi ma anche pur se limitatamente alcuni poteri deliberativi. Il personale amministrativo decentrato presso i 20 Consigli era nel 1985 di circa 250 unità complessive.
Nel 1990 viene approvata la LN 142/90 che avviò un dibattito molto aperto fra i partiti sul ruolo che avrebbero dovuto assumere concretamente gli organismi decentrati, sia Circoscrizioni che Consigli di Zona. La legge prevedeva tra l’altro anche l’istituzione delle “Aree Metropolitane”. Solo nel 1991 a Milano con il Sindaco Paolo Pillitteri (PSI) e una Giunta (Pci, Psi, Pri, Verdi e Pensionati) venne adottato il nuovo Statuto Comunale, che configurava in 9 articoli al Titolo VII i nuovi organismi decentrati: articolazione in zone, organi, risorse e uffici, funzioni propositive e consultive, servizi di base e funzioni delegate, Conferenza dei Presidenti, istanze e petizioni, iniziativa popolare e referendum.
La dialettica politica di contrapposizione/complementarietà tra potere centrale e enti locali continuò e nel 1993 con la LN n.81/93, oltre a prevedere l’elezione diretta del Sindaco, ecc., modificando la precedente del 1976, istituì i Consigli di Zona, da eleggersi a suffragio diretto.
Il CC di Milano, sempre nel 1993 con Sindaco Marco Formentini (Lega Nord più personalità indipendenti quali Daverio, Vitale, ecc.), approvò il quarto Regolamento del Decentramento Territoriale, che si articolava in Decentramento Politico e Decentramento Amministrativo. Successivamente nel 1997 il CC approvò la delibera di indirizzo per la revisione della ripartizione in zone, individuando le funzioni e i compiti operativi attribuibili e nel 1999 il territorio comunale fu suddiviso in 9 circoscrizioni. Negli anni 1999/2000 a livello nazionale con la Legge n.265 e poi con il DL 267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (TUEL), fu disciplinato il decentramento comunale, con riferimento all’ampiezza demografica e per i comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti fu prevista la possibilità di una maggiore autonomia organizzativa e funzionale.
Bisogna attendere il 2014 con la LN n. 56, nota come legge “Delrio”, che oltre a istituire le aree metropolitane, configurava le nuove Province e introduceva l’unione dei Comuni attraverso fusioni e la possibilità di una articolazione del territorio comunale in Municipi.
Nel 2016, con Sindaco Sala e Giunta di centrosinistra, vengono istituiti i 9 Municipi, viene inoltre approvato il Regolamento Elettorale con la modifica dello Statuto Comunale, definendo competenze, compiti, organi e istituti di partecipazione; viene approvato anche il Regolamento dei Municipi. Il Presidente (partecipa al Consiglio Metropolitano formato dai 134 comuni dell’area, ma senza diritto di voto), e il Consiglio Municipale sono eletti direttamente; viene istituita la Conferenza dei Presidenti di Municipio e ammesso il riconoscimento di Istituti di partecipazione sia volontari, come i comitati di quartiere, che creati dallo stesso Municipio ( il Presidente nomina la Giunta costituita da non più di tre assessori, di cui uno può essere selezionato tra gli esponenti della società civile ).
Gli ambiti di intervento del Municipio, indicati nello Statuto Comunale, sono attualmente i seguenti:
a] servizi alla persona, educativi, culturali e sportivi; b] gestione e manutenzione del patrimonio comunale assegnato; c] edilizia privata; d] verde pubblico ed arredo urbano; e] sicurezza urbana e viabilità di quartiere; f] attività commerciali ed artigianali; g] rapporti con i cittadini in materia di entrate e lotta alla evasione.
I nuovi Municipi si configurano come organismi di decentramento amministrativo di tipo funzionale, in quanto possono operare su specifiche funzioni dell’ente centrale, che comunque conserva il potere di coordinamento e controllo. Non a caso il numero di risorse assegnato, al giugno del 2020 era pari a 508 unità (con l’esclusione di 16 dirigenti), però alla direzione centrale 253 e le rimanenti 255 unità distribuite nelle sedi periferiche (mediamente circa 28/29 addetti per ciascuna delle 9 sedi).
La dotazione finanziaria dei singoli Municipi viene determinata annualmente dal Comune e a questa si aggiungono eventuali entrate dirette derivanti da concessioni temporanee di aree e locali pubblici. L’organo centrale valuta nella programmazione degli interventi sul patrimonio immobiliare pubblico (ai fini della formazione del Programma Triennale delle opere pubbliche), delle proposte/istanze rivolte dai Municipi agli organi centrali amministrativi.
Nel mandato in corso con Sindaco Sala è stato introdotto il “Bilancio Partecipativo”, che viene preceduto dalla delibera del CC di approvazione “delle linee di indirizzo per la realizzazione del Bilancio Partecipativo “, che per il triennio 2018/2020 ha messo a disposizione dei singoli Municipi la cifra pari a € 500.000, a seguito di un articolato procedimento di selezione dei progetti presentati.
In conclusione se nella legislazione del 1976 gli organismi del decentramento svolgevano contemporaneamente tre funzioni principali: di rappresentanza delle esigenze della popolazione, di partecipazione popolare alla gestione amministrativa e di decentramento funzionale di alcuni e determinati servizi, rispettando nella loro composizione politica i rapporti presenti nel Comune, solo con i provvedimenti nazionali prima nel 1993 e poi nel 2014 (legge Delrio) e le conseguenti ricadute operative sui comuni viene introdotta, oltre alla importante elezione diretta del presidente e dei consiglieri, anche una limitata gestione diretta di tipo politico/amministrativo delle attività loro assegnate ( in primis il bilancio partecipato ), e una estensione delle funzioni consultive, ad esempio nei confronti dei diversi Regolamenti, nella definizione di piani quali il PGT, il PUT e la mobilità, il Programma Triennale delle opere pubbliche, ecc.. Nonostante ciò se la politica vuole ottenere un vero decentramento al servizio dei cittadini, dovrà affrontare con urgenza il tema della riorganizzazione dell’apparato burocratico/amministrativo ancora centralizzato, in funzione di un decentramento delle responsabilità e dei poteri. Infatti, l’intera organizzazione della macchina amministrativa comunale dovrà essere rivista in funzione dei nuovi organismi e delle competenze che si vogliono a loro assegnare, consapevoli delle resistenze nell’apparato centrale non solo di tipo amministrativo, ma anche politico da parte delle diverse forze politiche. Il contrasto fra centralizzazione e decentramento non ha più una matrice ideologica, ma dipende solo dalla necessità di conservare il potere acquisito da parte delle forze politiche maggioritarie.
Per arrivare all’attuale configurazione del decentramento in municipi sono stati necessari circa cinquant’anni, e il processo non è ancora concluso in quanto sarebbero necessari ulteriori provvedimenti legislativi e normativi per l’attuazione di un vero ed effettivo decentramento politico/amministrativo comunale, rivolti ad esempio ai nuovi livelli istituzionali quali la Città Metropolitana, i nuovi riferimenti territoriali a livello cittadino quali i Quartieri/NIL o (recentemente entrato nel dibattito) alla ”città dei 15 minuti”. Il rischio di avviare un nuovo dibattito politico/amministrativo sia sull’ area metropolitana, che sui municipi è quello che ci vogliano altri cinquant’anni per sviluppare un percorso che dai contenuti condivisi porti alla elezione diretta del sindaco metropolitano e degli altri organi, alla definizione puntuale di compiti e funzioni con particolare attenzione ai livelli istituzionali e agli organismi inferiori: unione di comuni, comuni, comune capoluogo, municipi o circoscrizioni o consigli di zona, nuclei di identità locali( NIL ) in Milano, quartieri e città dei 15 minuti. Tale proposta sta suscitando notevole interesse (quella della “città dei 15 minuti”), avanzata dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo[1] e fatta propria, in modo acritico, anche per la città di Milano (ora anche per Torino), nel documento “Milano 2020”[2]. Ritengo che questa possa essere la riproposizione in chiave aggiornata del dibattito ormai superato sulle città giardino o cites nouvelles o new town, modelli abbandonati per le loro diffuse criticità. La dotazione di servizi e la loro accessibilità è un problema molto più complesso che richiede l’intervento di diverse discipline (sociologia, psicologia, economia, urbanistica, esperti in comunicazione, ecc.). Il problema dell’accesso ai servizi da parte della cittadinanza, comporta l’applicazione del concetto di geometria variabile, in quanto è necessario definire una serie di categorie di servizi a cui far corrispondere diverse modalità, tempi e forme di fruizione; non solo in quanto interviene anche il problema delle economie di scala e del livello a cui ciascun servizio si colloca. Inoltre, purtroppo nel documento citato non vi è alcun cenno al tema del decentramento, facendo riferimento ai due soli livelli di pianificazione del territorio: quello comunale e quello sovracomunale, ignorando altri livelli intermedi e gli stessi Municipi o quartieri o NIL.
Nell’ultimo quinquennio non si sono verificati miglioramenti alla conformazione dei municipi, l’unico provvedimento, nonostante l’opposizione dei cinque Municipi di centrodestra, è stato quello di alzare la soglia minima di voti per eleggere i presidenti e i consiglieri dei Municipi in un unico turno dal 40 al 50% (art. 97 dello Statuto). Come già avviene in Comune per sindaco e consiglieri se presidente e lista non conquisteranno almeno la metà dei voti espressi al primo turno, si andrà al ballottaggio tra i primi due schieramenti, dopo 15 giorni. Il centrodestra nel 2016 conquistò cinque municipi su nove, pur avendo il centrosinistra vinto le elezioni a livello comunale. Chi vince al centro tende a uniformare politicamente i municipi, indipendentemente dal raggruppamento vincente, al centro. Gli ultimi due precedenti mandati hanno prodotto una situazione analoga ma speculare: dal 2006 al 2011 Letizia Moratti aveva il sostegno di otto zone su nove (la sola Zona 9 era amministrata dal centrosinistra), Giuliano Pisapia nel quinquennio successivo ha ottenuto la omogeneità totale, nove municipi governati tutti dal centrosinistra. Ai futuri Municipi dovrebbero essere assegnati obiettivi e compiti specifici, realizzabili concretamente con il decentramento del personale necessario e la messa a disposizione delle relative risorse economiche. In questo modo gli elettori avrebbero la possibilità di valutare concretamente l’operato degli amministratori sulle capacità di corrispondere alle istanze locali e non limitarsi a valutazioni approssimative e generiche sulle posizioni/schieramenti politici.
Sul tema del decentramento e dell’importanza della città, già agli inizi degli anni ’70, Roberto Guiducci nel suo libro “La città dei cittadini” affrontava il tema della urbanistica e della partecipazione in due capitoli “Fine dell’urbanistica?” e “Il valore della città”. Nel primo affermava la necessità che le associazioni di cittadini, siano esse spontanee o inserite in organismi istituzionali, “dovevano diventare i nuovi committenti e l’urbanistica doveva riuscire ad essere la scienza della programmazione democratica spaziale, come l’economia doveva diventare la scienza della previsione e della programmazione democratica dei processi di sviluppo”. Nel secondo capitolo, citando la definizione di Lewis Mumford “la città è di fatto la forma fisica dei tipi più elevati e complessi di vita associata”, affermava che “…non si sa né si può rinunciare all’intensità della vita e unica alternativa è la città”. Infatti, nelle due correnti urbanistiche, quella razionalistica/progressista e quella organica, “il cittadino non è mai stato protagonista della sua città. Il conseguimento del valore o soglia urbana (effetto città), …. non dipende dalla concentrazione quantitativa, ma dalla compresenza di fattori che rendono intensa e importante la vita associativa”. Considerazioni ancor oggi di estrema attualità e che valgono anche per il problema delle nostre periferie, quando si prospetta la proposta per “…una città a più poli di uguale peso economico e di diversa qualificazione e concentrazione sociale”. Questo concetto vale anche nei confronti dell’area metropolitana.
Alla legge “Delrio” del 2014 fa riferimento l’istituzione della “Città Metropolitana di Milano”, un territorio e un soggetto politico/amministrativo nuovo, una entità quella milanese densa di conflitti, di contraddizioni (Provincia/Città metropolitana/Comuni/Municipi/ecc. ) e di problemi, con ambiti territorialmente in permanente dinamismo ( vedere a questo proposito il susseguirsi di circoscrizioni, di ambiti, di aree omogene, ecc. nella disciplina urbanistica, a cui poi si sovrappongono altre delimitazioni di aree diverse da parte di altri soggetti pubblici operanti in settori specifici[3]), al quale ancor oggi non hanno corrisposto adeguate strutture amministrative e politiche. La Città metropolitana di Milano ha adottato statutariamente il modello dell’elezione diretta degli organi metropolitani; tuttavia, poiché il Parlamento non ha ancora approvato la relativa legge elettorale, in via transitoria la carica di Sindaco metropolitano è ricoperta dal Sindaco di Milano.
Il tema della Città Metropolitana interferisce, infatti, con i Municipi e più in particolare con i territori dei comuni limitrofi della prima cintura, in quanto i municipi vengono a collocarsi fra soggetti con autonomia pianificatoria (Milano da una parte e il/i comuni confinanti dall’altra), senza poteri e strumenti adeguati anche solo per un’azione di coordinamento nell’ambito territoriale. Si tenga conto inoltre della dimensione demografica dei municipi, spesso molto più grande e complessa di quella dei comuni confinanti. (A questo proposito è stata avanzata la proposta di scorporo dei municipi dal centro cittadino e l’accorpamento dei territori degli altri 8 municipi con i comuni confinanti della prima cintura, riducendo Milano al solo Municipio 1)[4]. Non solo, ma le nuove realtà territoriali farebbero riferimento a due altre entità territoriali ovviamente anch’esse diverse fra loro, gli ATO (AMBITI TERRITORIALI OMOGENEI), definiti dalla Regione e le ZS (ZONE STRATEGICHE), definite dalla Città Metropolitana. In conclusione, il quadro programmatico e normativo a tutti livelli di decentramento si caratterizza per l’estrema confusione di ruoli, funzioni e perfino di confini amministrativi e per l’assenza di linee politiche chiare e condivise da parte di tutte le forze politiche. Nel 1974 Giuliano Della Pergola, nel suo libro “Diritto, alla città e alle lotte urbane “, analizzando l’esperienza milanese del decentramento, affermava, nel 1974, come sarebbe stato necessario che le forze politiche scegliessero fra realizzare un decentramento come operazione di razionalizzazione e assestamento dell’apparato burocratico/amministrativo centrale o invece come organismo garante della partecipazione dei cittadini alla gestione della città, come diritto alla città.
[1] Il modello proposto dalla Sorbona ha l’obiettivo di consentire ad ogni cittadino di soddisfare a una distanza di 15 minuti a piedi dalla propria casa sei funzioni urbane sociali fondamentali: vivere, lavorare, rifornirsi/acquistare beni, curarsi, apprendere e godere del proprio tempo libero. Ciò dovrà comportare la progettazione di una diversa diffusione e distribuzione delle attrezzature e dei servizi per la collettività in un ambito territoriale caratterizzato da mix funzionali co elevati livelli di integrazione, non più perciò da Zonizzazioni/specializzazioni funzionali.
[2] “Milano 2020 strategia di adattamento”, nelle modalità di conduzione della consultazione pubblica per la raccolta di osservazioni e contributi, ai Municipi non è attribuito alcun ruolo, non solo ma anche nel documento aperto al contributo della città nelle voci relative sia alla “Vision” che alle “Strategie, azioni e progetti” le azioni riguardano: massimizzare la flessibilità, mobilità, spazio pubblico e benessere, servizi digitali, servizi e quartieri. (tutto a 15 minuti di distanza), cultura, attività economiche, infrastrutture edilizia e opere pubbliche, collaborazione e inclusione, la città dei bambini. Come si vede sia nella Vision, che nelle Strategie….i Municipi non compaiono mai come soggetti e neppure con ruoli, tantomeno si accenna a una eventuale loro “adattamento” alle nuove esigenze della collettività.
[3] Regione Lombardia nel “Progetto di integrazione del PTR ai sensi della LR 31/14” (2019), ha suddiviso l’area metropolitana in 5 ATO, di cui una comprende parte del territorio della provincia di Varese (Sempione e ovest Malpensa. Prima, nel 2017, la Conferenza Metropolitana dei Sindaci aveva approvato la suddivisione dell’area metropolitana in 8 zone, di cui una era solo il comune di Milano. Nel settembre 2019 il documento “Milano Metropoli al Futuro-Piano Strategico Triennale del Territorio Metropolitano-Aggiornamento 2019/2021” vengono confermate le 8 zone. Non è finita, il PTM (Piano Territoriale Metropolitano) nel documento “Dal PTCP al PTM: introduzione al nuovo strumento di pianificazione territoriale metropolitano” del luglio 2020 propone la suddivisione dell’area metropolitana sempre in 5 ATO, ma con una modifica sostanziale ampliando quello di Milano, non più al solo comune ma estendendolo ai comuni della cintura “Milano e Cintura Metropolitana”. Nell’ottica di rilanciare le Zone Omogenee, pur rispettando la perimetrazione definita dagli Ambiti Territoriali Omogenei regionali (ATO), con riferimento a quanto previsto nei Criteri dell’integrazione del PTR ai sensi della l.r. 31/2014, Città Metropolitana definisce nel PTM eventuali modifiche puntuali degli dell’ATO, nonché l’individuazione di sub-ambiti territoriali al fine di garantire la necessaria coerenza tra la perimetrazione delle Zone Omogenee di CMM, definita nell’Intesa sottoscritta il 24.01.2017 ai sensi dell’art. 4 della LR 32/2015 in sede di Conferenza permanente RL-CMM, e quella degli Ambiti Territoriali Omogenei, definita nell’integrazione del PTR ai sensi della l.r. 31/2014 (approvata con DCR n. 411/2018). L’identificazione di sub-ambiti risulta fondamentale nel PTM anche per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del consumo di suolo, data la forte disomogeneità del territorio dell’area metropolitana milanese, e strategica per il raccordo con il monitoraggio sul consumo di suolo effettuato dalla Regione Lombardia a livello di ATO.
[4] A questo proposito si veda anche la proposta da parte della Città Metropolitana di articolare il territorio con un ATO centrale che non corrisponde più al solo comune di Milano, ma comprende anche i comuni della prima cintura.
