Pubblico/Privato nella trasformazione della città

UCTAT Newsletter n.35 – giugno 2021

di Paolo Debiaggi

Milano si ripropone come laboratorio di politiche urbane. Negli anni ’80-’90 il tema della “città per progetti” ha prevalso e condizionato la successiva disciplina urbanistica regionale lombarda, portando all’attuale modalità di governo del territorio che potremmo definire “città senza piano”. Oggi, si possono chiaramente cogliere le circostanze che potrebbero determinare la prossima grande innovazione milanese nella gestione urbana, lo “spazio pubblico privatizzato”.

Abbiamo già assistito a partire dagli anni ’90 alla privatizzazione dei servizi pubblici, dove l’amministrazione pubblica ha sempre più esternalizzato la sua funzione verso il settore privato in via diretta, attraverso concessioni di infrastrutture e reti, oppure attraverso le società municipalizzate trasformatesi poi in società per azioni. L’esito di questo processo in termini di benefici verso il cittadino/utente come aumento di tariffe, efficienza e qualità del servizio, lo lascio valutare all’esperienza personale di ognuno.

Anche le opere pubbliche, quelle poche che si riescono a iniziare e portare a termine in Italia e, in particolare, quelle che possono produrre un ritorno economico, oramai vengono realizzate prevalentemente con modalità di investimento misto pubblico/privato, in cui il privato realizza l’opera in cambio di un lasso temporale di sua gestione con cui possa ritornare dell’investimento fatto. Per contro, il pubblico in genere mette a disposizione l’area di proprietà e una parte significativa dell’investimento per rendere l’operazione più appetibile al privato. In città, un esempio recente di questa modalità di intervento, riguarda il progetto di rifacimento della piscina Cardellino al Lorenteggio, dove l’impianto comunale, oggi gestito da Milano Sport e particolarmente frequentato dall’utenza di quartiere grazie a tariffe di accesso popolari, verrà rifatto completamente attraverso una formula di partenariato pubblico-privato. La modalità, approvata dall’amministrazione comunale come di interesse pubblico, prevede, in sostanza, che il privato, a fronte di un costo di meno della metà dell’intera opera, potrà rientrare del suo investimento attraverso la gestione diretta del nuovo impianto per la durata di 22 anni. Che effetto avrà questa operazione sulla gestione dell’impianto e sulle tariffe applicate, lo scopriremo negli anni a venire. Nel frattempo, quando saranno avviati i lavori di suo completo rifacimento, questa preziosa risorsa verrà sottratta per diverso tempo all’uso dei cittadini. A fronte dell’importante investimento pubblico, con un impegno pressochè analogo, si sarebbe potuto realizzare ex novo uno stadio del nuoto moderno, senza vincoli costruttivi dettati dalla preesistenza, come da molto tempo richiede la Federazione italiana Nuoto, in grado di colmare una lacuna che caratterizza la pratica agonistica di questo sport a Milano.

A Milano però si va oltre.. anche la rigenerazione urbana di una vasta area di proprietà comunale viene delegata all’iniziativa privata.  Mi riferisco all’area di Porto di Mare, di cui abbiamo scritto nello scorso numero, dove una sua porzione significativa verrà concessa in uso perenne (90 anni) a fronte di una proposta di sviluppo del privato e di una sua offerta economica di canone, in assenza di un piano generale di indirizzo e regia pubblica che definisca obbiettivi, modalità, contenuti e termini della riqualificazione generale dell’area nell’interesse collettivo. Ma non basta, la tendenza viene estesa anche allo spazio pubblico di aggregazione per definizione, i parchi e le piazze urbane.

Dopo aver realizzato il grande intervento di sviluppo immobiliare dell’area di Porta Nuova, nel luglio 2019 il Gruppo Coima e il Comune di Milano sperimentano il contratto di “sponsorizzazione”. Ovvero, stipulano un accordo in cui per dieci anni il Gruppo, attraverso la Fondazione di diritto privato Riccardo Catella, gestirà il parco cosiddetto “Biblioteca degli Alberi” realizzato su disegno dello studio Inside/Outside, a scomputo oneri di urbanizzazione ovvero con soldi pubblici, all’interno della vasta operazione immobiliare.

Iniziative di carattere culturale, musicale sportivo, socio-aggregativo saranno il cuore del programma di animazione culturale utile a rendere vivo e attrattivo il parco. Ammesse le attività commerciali, anche di somministrazione alimenti e bevande, e l’installazione di strutture mobili. Tra le finalità la valorizzazione della ricchezza botanica e l’offerta di esperienze culturali e di sensibilizzazione al rispetto del verde. Il contratto prevede inoltre la possibilità per lo sponsor di realizzare alcune strutture e un Padiglione Temporaneo per ospitare attività, eventi e manifestazioni, oltre a un punto di ristoro con servizi igienici. Non mancherà il wi-fi: Coima si è offerto di implementare il sistema. Il progetto sarà esteso ad alcune aree pedonali esterne all’area verde: spazi eventi per 3.500 mq che a fronte di un corrispettivo economico Coima avrà in concessione esclusiva per aumentare le possibilità di introito necessario per coprire i costi. L’ineffabile Maran, Assessore all’Urbanistica e Verde, nell’occasione dichiarava: «Con questo accordo garantiamo, a costo zero per le casse pubbliche, un’elevata qualità di manutenzione e gestione di un parco». Così si riportava la notizia a mezzo stampa.

Tra le iniziative di animazione culturale possiamo registrare, dopo l’esperienza dello scorso anno, la riproposizione anche per questa estate del Lido BAM, la spiaggia tra i grattacieli, dove i lettini possono essere prenotati per passare una magnifica giornata sotto gli ombrelloni hi-tech sponsorizzati Sammontana (i cui gelati vengono venduti nel chioschetto accanto) e ideati dall’archistar Carlo Ratti (con nebulizzatore incorporato per far resistere l’utente alle alte temperature).

Recentemente per “dotare il parco dei migliori progetti sulle necessarie infrastrutture che, nell’interesse generale dei cittadini, permetteranno una fruizione di maggiore qualità e nuove funzioni negli spazi pubblici urbani in oggetto” la Fondazione Catella ha bandito, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti di Milano, un concorso per giovani progettisti con oggetto l’ideazione di: un punto di ristoro con servizi igienici, un modello tipologico di Chiosco polivalente per somministrazione food and beverage con merchandising e un Pop-up Show quale modello tipologico adibito a showroom e vendite temporanee da replicare in quattro aree all’interno degli spazi pedonali limitrofi e in Piazza Gae Aulenti.

Insomma, tra un’iniziativa culturale e l’altra, la prospettiva in atto è quella di trasformare questa nuova forma di standard pubblico-privato in un grande spazio commerciale all’aperto. Ovviamente, il privato fa il suo interesse. Prima di tutto si garantisce per un lasso di tempo congruo il controllo diretto della qualità e cura dello spazio aperto in un quadrante urbano denso dei suoi stessi investimenti immobiliari. Non può certo sfuggire che Coima abbia già realizzato e abbia ancora in costruzione, in quell’ambito urbano, migliaia di metricubi di nuova costruzione da immettere sul mercato. E si sa, più la location è attrattiva, più il prodotto sarà appetibile e valorizzato. Inoltre, se i costi di questa attività di manutenzione e cura riescono anche a generare reddito potendo esercitarvi, senza alcuna limitazione e concorrenza, l’attività commerciale, beh, allora, il suo interesse è chiaro. Al di là di ogni proclama filantropico. Ma tutto ciò che vantaggio ha per i cittadini?

Altra iniziativa degna di riflessione riguarda il progetto per la nuova Piazzale Loreto.

Nel mese di maggio è stato annunciato il vincitore del concorso promosso nell’ambito del programma Reinventing Cities. il progetto LOC – Loreto Open Community sviluppato da un Team guidato da Ceetrus Nhood e composto da Metrogramma, Mobility in Chain, Studio Andrea Caputo, LAND, Temporiuso e Squadrati, è stato premiato per l’attenzione della proposta alla mobilità pedonale e ciclabile, al verde, agli spazi d’incontro e per il commercio di vicinato, agli edifici sostenibili, alla promessa di un processo partecipativo e di un ricco palinsesto di eventi. Insomma, la solita descrizione del progetto urbano in uso nell’attuale comunicazione mainstream.

Oggi Piazzale Loreto più che una piazza rappresenta un importante nodo della viabilità urbana. Viale Abruzzi, Corso Buenos Aires, Via Doria, Viale Brianza, Viale Monza, Via Padova, Via Costa e Via Porpora, convergono in una maxi rotonda che distribuisce, a fatica, il traffico nelle diverse direzioni. Il progetto selezionato come vincitore propone l’eliminazione della rotatoria e la sostituisce con un tracciato che unisce Viale Abruzzi e Viale Brianza e che, nel suo percorso, attraverso una sequenza d’intersezioni semaforizzate, gestisce i flussi provenienti dalle altre arterie.

Immagine tratta dal progetto vincitore del concorso Reinventing Cities per la riqualificazione di Piazzale Loreto

L’obiettivo prioritario del Concorso era però quello di “restituire” Piazzale Loreto alla città, ripensandolo da infrastruttura a spazio pubblico vero e proprio, attraverso una riqualificazione complessiva i cui costi, come nella consuetudine di Reinventing Cities, potessero trovare investitori privati. Per far ciò, la formulazione del concorso ha previsto la cessione al privato di diritti edificatori utilizzabili per realizzare una nuova torre, come ampliamento del complesso ad uffici tra viale Abruzzi e via Porpora, in cambio, nell’interesse collettivo, della trasformazione del piazzale. Ciò che non convince del progetto è che nella riqualificazione del Piazzale emergono in superficie volumetrie in prevalenza commerciali che si aggiungono a quelle già esistenti nel mezzanino della metropolitana.

Immagine tratta dal progetto vincitore del concorso Reinventing Cities per la riqualificazione di Piazzale Loreto

Come giustamente osserva Alessandro Benetti su Domusweb del 24 maggio scorso, il risultato di questo secondo intervento è paradossale: l’unità spaziale della piazza, cioè la sua stessa esistenza in quanto tale, è annullata dai volumi edilizi che la saturano e la frantumano in una molteplicità di superfici di statuto ambiguo. Lo spazio pubblico esiste ancora sul piano normativo e degli standard urbanistici, ma è annientato nella sua capacità di funzionare come tale. La necessità della manutenzione straordinaria di un bene pubblico si traduce nell’alienazione del bene stesso. La piazza in potenza è uccisa nella culla.

Il progetto per Piazzale Loreto, inoltre, rappresenta un precedente pericoloso. Se si realizzerà con queste modalità, prima ancora che con queste forme, cosa assicurerà che nei prossimi anni una simile operazione di saturazione e di frantumazione dello spazio aperto non si compia anche in altre piazze-svincolo situate sopra i mezzanini della metropolitana? Magari in Piazza Amendola? O in Piazza della Repubblica? L’elenco potrebbe continuare a lungo.

Il caso del concorso per Piazzale Loreto, più di qualsiasi altra querelle urbanistica milanese degli ultimi anni, deve stimolare una riflessione seria sul ruolo della promozione immobiliare nella definizione della qualità degli spazi della città, sulle sue potenzialità e i suoi limiti, e sulla necessità di una regia pubblica che sappia schierarsi senza ambiguità a favore dell’interesse collettivo.

Quelli riportati sono solo alcuni esempi di una modalità oramai collaudata nella gestione urbana di Milano degli ultimi anni, di cui non sembra peraltro esserci alcuna forma di opposizione critica significativa. Ai cittadini più social si lascia il compito di commentare i dettagli di render e masterplan, simularne la partecipazione diretta, raccoglierne i “mi piace” o “non mi piace”, ma il senso politico più profondo lo si trascura o tralascia.

Per contro, l’intervento pubblico diretto, nelle occasioni in cui si palesa, si caratterizza con esiti piuttosto imbarazzanti, dove non solo la mancanza di qualità dell’intervento risulta evidente, ma addirittura dimostra una progettualità inesistente, uso di materiali scadenti e lavori fatti male.

Ci dobbiamo dunque rassegnare a questa realtà, come ineludibile esito della scarsità di risorse pubbliche, economiche e umane, della mancanza di competenze tecniche e amministrative in grado di espletare la funzione pubblica e, quindi, dobbiamo accettare come inevitabile l’abdicazione della politica verso una formula di collaborazione pubblico/privata in grado di garantire risultati degni di poter essere “postati” alla ricerca del consenso? Esiti che, diversamente, se inseguiti solo con i mezzi, le risorse e gli strumenti pubblici sarebbero o inesistenti o difficilmente spendibili? Nella città che verrà ci saranno dunque spazi pubblici privatizzati di serie A, in quelle situazioni in cui la speculazione immobiliare è più forte e laddove il privato ha interesse a investire e manutenere (fino a quando?) e uno spazio pubblico di serie B in ambiti più marginali e periferici?

Chi scrive non ha alcuna pregiudiziale nei confronti di una collaborazione tra pubblico e privato nella realizzazione e gestione di opere e servizi pubblici ed è un convinto sostenitore di un approccio pragmatico nella amministrazione dei beni collettivi. Ciò nonostante, quando si parla di partenariato pubblico-privato, nella forma si definisce anche la sostanza delle iniziative congiunte. Nel nostro Paese, si possono già trarre molte lezioni sull’esperienza di quasi 40 anni di privatizzazioni di servizi e beni collettivi. E non sembra essersi declinata in maniera sempre così vantaggiosa per il cittadino e le risorse pubbliche.

Se la tendenza deve essere quella di restringere il campo di azione pubblico, allora questo deve trovare una corrispondenza nella rimodulazione fiscale e delle tariffe che quotidianamente assillano il cittadino. Che significato ha, ad esempio, continuare a pagare gli oneri di urbanizzazione al Comune quando poi ci si trova a pagare direttamente in bolletta gli oneri di sistema e, addirittura, spazi e infrastrutture saranno delegati a privati che ci chiederanno poi, giustamente, adeguate tariffe e forme per valorizzare il proprio investimento? E ancora, che senso ha mantenere settori e dipendenti nella pubblica amministrazione con compiti che regolarmente vengono delegati all’esterno? La prassi è sempre quella di stratificare gli oneri per il cittadino e mai di sostituirli.

Chi si candida a governare la città dovrà spiegare come intende farlo. Dichiarare gli obiettivi misurabili e non semplicemente inneggiare a slogan generici tipo “voglio una città più verde e giusta”. O si punta a efficientare la struttura comunale, i servizi, gli investimenti, in modo da rendere visibile la propria capacità amministrativa ai cittadini oppure si dichiari la volontà di circoscrivere e ridimensionarel’ambito operativo della struttura pubblica verso una delega sempre più massiccia al privato, esplicitandone in maniera chiara e programmatica le modalità con cui si intende farlo e i benefici per la collettività.

In vista delle prossime elezioni amministrative, credo che questo debba essere un argomento da porre a pieno titolo nella campagna elettorale, in quanto foriero di importanti considerazioni politiche. Il tema va trattato per quello che è senza nasconderlo dietro l’ipocrisia di false formulazioni e all’interno di procedure strettamente burocratico-amministrative che lo sottraggono al dibattito pubblico. Ne va il senso stesso di democrazia. La qualità dello spazio pubblico con la sua modalità di realizzazione e gestione, ha una ascendenza sulla formazione del senso civico dei cittadini, più sarà rappresentativo di qualità urbana tanto più sarà rispettato e instillerà senso di appartenenza e volontà di partecipazione. Più sarà trascurato tanto più trasmetterà disaffezione e disagio sociale.

Fonti e approfondimenti:

http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=136&artsuite=2

http://www.ppan.it/stories/biblioteca-degli-alberi-milano/

https://www.concorsofondazionericcardocatella.concorrimi.it/

https://www.ordinearchitetti.mi.it/it/notizie/dettaglio/10647-52-concorrimi-nuove-architetture-sostenibili-per-la-biblioteca-degli-alberi-e-porta-nuova

https://www.domusweb.it/it/architettura/gallery/2021/05/17/piazzale-loreto-non-esister-pi.html

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