UCTAT Newsletter n.36 – luglio 2021
di Maria Luisa Germanà [1]
Il COVID-19 ha proiettato un’ombra di incertezza sulle attività di individui, famiglie, comunità e istituzioni. A fronte di ciò, sulle prime si è reagito auspicando il ritorno alla precedente normalità, ma poco dopo si è scorta l’opportunità che questo globale sconvolgimento potesse innescare un’apprezzabile trasformazione dei precedenti paradigmi socio-culturali, economici, tecnologici. In generale, si può affermare che durante il consolidamento della fase pandemica la dominante dipendenza delle più disparate azioni individuali e sociali dalle tecnologie 4.0 ha trovato netta conferma e, allo stesso tempo, il loro immane potenziale positivo è stato svelato e consolidato. Infatti, le conseguenze della pandemia hanno privilegiato le attività che hanno potuto proseguire, per quanto con una brusca revisione dei modi consuetudinari, rispetto a quelle che si sono dovute interrompere del tutto, perché più ancorate alla dimensione materiale. Ma anche, e presumibilmente ancor di più nel lungo termine, tali conseguenze hanno esacerbato le disuguaglianze, discriminazioni ed emarginazioni evidenziate già in precedenza dal digital divide.
Guardando alle relazioni tra le persone e l’ambiente costruito, soprattutto di uso collettivo, lo scenario resta ugualmente contrastato. Superata la cupezza delle limitazioni negli spostamenti e del distanziamento sociale, coercizioni necessarie al contenimento della diffusione virale, si assiste al riverbero (auspicabilmente duraturo oltre la paura contingente) di una consapevolezza assai più diffusa e condivisa dell’importanza delle prestazioni di igiene raggiunte dagli ambienti di vita e dalle relative condizioni d’uso. Se dunque case e città esistenti certamente non cambieranno d’incanto, così come sono già cambiate rapidamente le modalità di utilizzazione, anche l’approccio al progetto delle trasformazioni future dovrà abbracciare più ampi obiettivi, dove la salubrità assume ancora maggiore risalto.
Negli scenari su cui il COVID-19 ha sollevato il sipario si riscontra un analogo contrasto di luci ed ombre anche focalizzando l’attenzione sull’ambiente costruito di interesse culturale, che si può far coincidere con l’ampia definizione di “patrimonio architettonico” condivisa a livello europeo sin dal 1985 [https://www.coe.int/en/web/culture-and-heritage/granada-convention]. La questione assume rilevanza soprattutto dove il patrimonio costruito costituisce una realtà diffusa capillarmente in gran parte del territorio, diventando un fattore identitario connotante, come avviene in Europa e segnatamente nell’area mediterranea.
La reazione subitanea agli effetti della pandemia è stata la chiusura al pubblico dei siti di interesse culturale, con conseguenze devastanti sull’occupazione specie nelle regioni in cui turismo culturale e relativo indotto erano consolidate attività economiche prevalenti. La comunità internazionale si è mossa monitorando le chiusure dei siti inseriti nella World Heritage List e cercando specifici strumenti per identificare rischi e valutare impatti e bisogni [https://www. iccrom.org/heritage-times-covid]. Ma, soprattutto, il confronto tra l’anormalità contingente e la normalità bruscamente interrotta dalla pandemia ha evidenziato quanto quest’ultima fosse inaccettabile, portando a focalizzare l’obiettivo di una successiva normalità, da raggiungere nel medio-lungo termine grazie all’educazione, alla scienza e alla cultura [https://en.unesco.org/campaign/nextnormal].
Nel nostro Paese, le misure governative di sostegno immediato e le previsioni di prossimi rafforzamenti dell’impegno finanziario non si sono fatte attendere, con le misure tempestive varate dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo per oltre 11 miliardi di euro [https://www.beniculturali.it/covid2020]. Mentre i segnali di ripresa dell’economia gravitante sul patrimonio culturale restano ancora incerti e minacciati dalla paura di virus varianti, elementi di ottimismo derivano dal PNRR(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), in cui la terza componente della Missione 1 è dedicata a turismo e cultura, mirando all’incremento dell’attrattività e alla modernizzazione delle infrastrutture, materiali e immateriali e ponendo sul tappeto risorse di entità inusitata (6.675 miliardi di euro).
In particolare [https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_CULTURA.pdf], la Misura 1 Patrimonio culturale per la prossima generazione attribuisce: 500 mln di euro per le Piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale; 300 mln di euro per la Rimozione di barriere architettoniche in musei, biblioteche e archivi e investimenti per l’accessibilità;300 mln di euro per Migliorare l’efficienza energetica di cinema, teatri e musei. La Misura 2 Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale religioso e rurale destina 1.020 mld al Piano Nazionale Borghi delle aree interne; 600 mld alla Protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale; 300 mld a Programmi per valorizzare parchi e giardini storici; 800 mld a sicurezza e restauro edifici e luoghi di culto e progetti per depositi temporanei di beni culturali mobili. Ulteriori risorse sono destinate alle Industrie culturali e creative 4.0, allo Sviluppo della capacità degli operatori della cultura per gestire la transizione digitale e verde e al Piano strategico Grandi attrattori culturali.
L’ottimismo, tuttavia, risulta oscurato dal giustificato timore che deriva dalle innumerevoli criticità nel settore degli interventi per il patrimonio culturale e architettonico, irrisolte nonostante i precedenti impegni finanziari. Si pensi, ad esempio, a come discontinuità e obsolescenza abbiano vanificato gli interventi per la catalogazione attivati a seguito della legge finanziaria del 1986, i 600 mld di lire dei giacimenti culturali, destinati alla realizzazione di iniziative volte alla valorizzazione di beni culturali, anche collegate al loro recupero, attraverso l’utilizzazione delle tecnologie più avanzate, ed alla creazione di occupazione aggiuntiva di giovani disoccupati di lungo periodo (art. 15 L. n. 41/1986).
Ormai dovrebbe essere maturata e condivisa la consapevolezza che, in qualunque campo applicativo e segnatamente dove prevale la sfera pubblica, come per gli interventi che riguardano il patrimonio culturale, non basta fare leva sul quanto, ma occorrono anche il perché e il come. Ecco il motivo per cui bisogna da subito tenere alta la guardia sulla implementazione del PNRR, opportunità tanto più preziosa perché a lungo irripetibile, tenendo presente soprattutto la qualità dei processi e dei risultati. Si tratta andar oltre traguardi contingenti e segmentati, applicando strumenti metodologici ampiamente affinati dalla cultura tecnologica e, particolarmente, acquisendo la visione del lungo termine (verifica e gestione nel tempo dei risultati) e mantenendo il controllo sulla complessità, con un approccio olistico e sistemico ai contesti su cui si interviene.
L’evoluzione della tecnologia, entrata nella fase matura della Quarta rivoluzione industriale, giocherà un ruolo decisivo nel determinare se prevarranno le luci o le ombre post-pandemiche. Le tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno pervaso anche il campo del patrimonio culturale: innumerevoli studi e applicazioni hanno dimostrato le loro enormi potenzialità nelle trasformazioni operative che riguardano i processi di conoscenza, conservazione e valorizzazione, senza annoverare il nuovo paradigma già delineato dall’HBIM (Heritage Building Information Modelling), grazie al quale tali processi possono trovare una base operativa comune.
Trasformazioni ugualmente dirompenti sono quelle che le tecnologie 4.0 hanno già da tempo hanno introdotto nella fruizione del patrimonio culturale, esaltando le possibilità di una esplorazione personalizzata, di cui l’esperienza condivisa amplifica, di rimbalzo, sempre più indirette e sfumate percezioni. Ma, soprattutto, la digitalizzazione e la connessione hanno consentito una fruizione dei siti culturali estirpata dalla loro specifica fisicità concreta e sganciata dalle consuetudinarie coordinate spazio-temporali. Dunque, se la chiusura dei siti ha ne ha impedito la fruizione diretta, al contempo essa ha accelerato un processo di virtualizzazione del patrimonio culturale che era avviato già assai prima che la pandemia uscisse da previsioni distopiche per diventare un crudo dato di fatto.
La virtualizzazione, da intendere come astrazione della componente fisica del patrimonio da ricreare in ambiente digitale, ha introdotto indubbiamente importanti vantaggi oltre che per l’amplificazione delle condizioni fruitive – anche per la gestione della conoscenza (rilevamento, archiviazione e monitoraggio della base informativa indispensabile per ogni processo conservativo e di valorizzazione). Ma al contempo tale processo, se rimanesse a metà strada inceppandosi all’interno di un loop virtuale, implicherebbe rischi subdoli, in quanto evidenti nel lungo termine, tendendo a vanificare alcuni fondamenti della stessa idea di patrimonio, come ad esempio: il radicamento nel contesto; l’unicità dell’esperienza fruitiva; la commistione di aspetti tangibili e intangibili; la specificità della consistenza materica e le conseguenti questioni conservative; il coinvolgimento degli utenti/visitatori a livello individuale e di comunità. La necessità di riconnettere la dimensione fisica e digitale del patrimonio culturale (attraverso concetti come Phygital Heritage o Internet of Cultural Heritage)si era manifestata giànel decennio prepandemico, come pure – sotto il profilo teoretico – era stata indicata la necessità di prendere atto dell’avvento delle nuove forme di memoria (transattiva o protesica) che hanno iniziato a profilarsi come conseguenza del timeless time, il tempo digitale, compresso e dilatato in un perpetuo presente istantaneo. È facile prevedere che l’importante sconvolgimento della pandemia, accelerando questi processi già in atto, contribuirà a rivoluzionare i significati del patrimonio architettonico e il suo ruolo sociale. Come questa basilare componente dell’identità culturale continuerà a giocare un ruolo per gli individui e la collettività dipenderà da quanto la realtà del next normal si baserà su un circolo virtuoso tra fisicità materica e astrazione digitale, grazie al quale la conservazione diventi più affidabile e la fruizione più responsabile.


[1] Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura, presso Università di Palermo, Dipartimento di Architettura.