Per un Ecomuseo del Parco Sud di Milano

UCTAT Newsletter n.29 – dicembre 2020

di Fabrizio Schiaffonati

Sulla controfacciata dell’abbazia di Chiaravalle, sotto l’oculo che guarda verso ovest, un grande affresco seicentesco rappresenta i lavori d’inizio dell’edificazione della chiesa su un paludoso terreno incolto. Sullo sfondo la città turrita e murata di Milano. Figure e personaggi che danno conto, come in un documento storico, delle complesse vicende civili e religiose dell’origine della costruzione. L’umiltà dell’impegno agrario e dell’intrapresa cistercense in primo piano, rispetto al potere e al privilegio dell’aristocrazia urbana. La stessa visione prospettica che si presenta ancora oggi attraverso l’oculo di quella muratura. Una narrazione che restituisce il travaglio della edificazione, in senso materiale ma anche civile. Una metafora del presente.

Questa immagine potrebbe essere assunta ad icona di un Ecomuseo del Parco Sud, una grande superfice territoriale ai confini di Milano e dei comuni limitrofi, perché rende emblematicamente conto di cosa è stato nei secoli passati, ma anche di quanto ancora permane del paesaggio agrario che lambisce la metropoli. Una presenza sempre più interferita da trasformazioni antropiche di insediamenti e infrastrutture di una metropoli che è cresciuta a dismisura dall’Ottocento, ma che verso sud, e in parte anche ad est, conserva visibili tracce di un ambiente naturale che rimanda alle riforme promosse da movimenti monacali che sono alla base della modernità dell’Occidente. Un insieme di segni che appaiono flebili se distrattamente si percorre quei luoghi, senza soffermarsi con lo sguardo e col pensiero a quei tracciati agrari che richiamano il reticolo irriguo delle marcite, la rotazione delle culture, le bonifiche dell’acquitrino, gli spazi conquistati al bosco planiziale, per insediare comunità con nuove regole civili e una rivoluzionaria economia agricola. Importante quindi, per quei luoghi, questo pregnante ricordo, non solo sui libri di storia ma ancora visivo e materico, soprattutto in un contesto territoriale ove i processi di urbanizzazione rendono vieppiù marginali gli ambiti naturalistici, con un “consumo di suolo” a cui il legislatore tardivamente ha cercato di mettere rimedio.

In questo senso la proposta di un Ecomuseo del Parco Sud milanese non può che rafforzare l’azione di quanti sono da tempo impegnati a consolidarne l’istituzione anche nell’accezione di Parco agricolo. Un approccio alla tematica dei grandi parchi diversi da quelli urbani e naturalistici, in un caso con una forte vocazione al loisir, e nell’altro principalmente riserve naturali per la conservazione di biodiversità, ambienti e panorami incontaminati. Un approccio da tempo presente in altri paesi, dove viene contemplata la conservazione e la tutela naturalistica con le necessità della produzione agricola; e nel contempo promossa la valenza fruitiva della popolazione, tutt’altro che irrilevante nei contesti ad elevata concentrazione urbana. Viene quindi a istaurarsi una diversa relazione tra città e campagna, tra zone urbanizzate e aree agricole, conseguenza della infrastrutturazione del territorio, delle relazioni tra le sue parti, di nuove modalità fruitive e produttive; anche alla luce di processi espansivi, di crescita demografica, di mobilità della popolazione, con mutate concezioni del tempo e dello spazio.

 Il Parco Sud, da qualche decennio dall’istituzione, non è ancora percepito in tutte le sue potenzialità. Non come una opportunità, quando visto come imposizione di vincoli ostativi: in particolare per l’autonoma pianificazione urbanistica dei comuni, per norme ambientali ed edilizie cogenti, per le rendite di posizione dei suoli edificabili, ed anche per una più libera produzione agricola. Interessati punti di vista, a cui va aggiunta anche la lenta acquisizione della sua valenza sociale da parte della popolazione, poco informata e non coinvolta nella valorizzazione, promozione e progettazione; in quanto la fruizione del parco richiede adeguati investimenti in infrastrutture, seppur “leggere” (punti informazione, segnaletica, attrezzamento dei luoghi di sosta, tracciamento dei percorsi, sistemi di sicurezza e presidio). Il che comporta una capacità di programmazione e gestione delle opere. Rimane quindi molto da fare per il consolidamento dell’identità del Parco Sud, con un impegno che rafforzi la condivisione e quindi la tutela attiva da parte della popolazione. In tal senso la proposta e l’affermazione di un Ecomuseo del Parco Sud non può che essere un rafforzamento delle sue più ampie valenze sociali e culturali.

La nozione di ecomuseo nel nostro paese è relativamente recente, e proviene principalmente dalla Francia, dove da tempo è consolidata in molte manifestazioni. L’ecomuseo ha alla base elementi innovativi, rispetto a quelli canonici del museo da tempo entrato a far parte delle istituzioni culturali. Una tipologia, quella del museo, che affonda le radici nella storia della civiltà e che dalla rivoluzione dei lumi ha subito una continua affermazione, con proposte anche specifiche per città, nazioni, aree geografiche. L’ecomuseo ha in sé due precipui connotati: la proposizione dal basso, diretta espressione di una istanza partecipativa e contorni tematici radicati nella comunità locale, senza rigide categorizzazioni. Un ampio spettro, quindi, di quanto può documentare una particolare identità territoriale, ambientale e sociale, come presenza e testimonianza della cultura materiale e immateriale, di costumi, usi e tradizioni. Pertanto, non semplicemente una raccolta di reperti ma ogni manifestazione per articolare un’altra narrazione rispetto ad accadimenti, personaggi, monumenti, vicende eminenti. Un approccio che fa quindi riferimento alla partecipazione attiva e volontaria dei suoi promotori, che si riconoscono in un comune interesse a tener viva una memoria che ha radici ancora nel presente. Una concezione quindi del tempo della storia come un flusso continuo che si esprime nella contemporaneità e non rimandata alla fissità di quanto acquisito. Un modo, quindi, nuovo e diverso di rapportarsi al passato, che non può non richiamare gli Annales francesi.

Questo approccio anche nel nostro paese si sta facendo strada, in particolare a livello regionale, con indirizzi e normative non cogenti ma d’indirizzo nello spirito di incentivare e dare riconoscibilità alle autonome istanze delle variegate mappe di comunità su cui va crescendo la linfa ecomuseale. Questa presenza è attiva principalmente in contesti dove le trasformazioni economiche e sociali sono state meno rapide, diversamente dalle grandi città che in breve tempo hanno cambiato radicalmente la propria struttura, con una perdita d’identità che è alla base della attuale anonimia metropolitana. La città è sempre stata luogo di non facile integrazione, per il disagio di un ambiente in cui l’artificialità dello spazio ha il sopravvento sulle forme spontanee della natura. L’Unesco prevede che al 2050 la maggioranza della popolazione mondiale abiterà nelle città. Quindi immense megalopoli di decine di milioni di abitanti, come già ora in Sud America e in Oriente. Un fenomeno che per quanto concerne la situazione europea non è così macroscopico, anche se conurbazioni e sprawl urbano sono in continua crescita. Una urbanizzazione quindi sempre più pervasiva e ramificata, resa possibile anche dalle nuove tecnologie. Una pelle di leopardo dove anche nei contesti senza soluzione di continuità permangono lacerti di trame del passato, cunei verdi, terreni improduttivi, zone periurbane in attesa di una futura saturazione. Verso questo variegato scenario, dove è andato crescendo degrado ambientale – accentuato dai processi di dismissione industriale – da qualche tempo si sta sviluppando una diversa attenzione di chi guarda al territorio con una nuova consapevolezza della gravità dei fenomeni che ne hanno compromesso l’equilibrio e devastato il paesaggio. Per correre quindi in soccorso con strumenti di indirizzo, pianificazione e controllo in grado di arrestare il consumo di suolo, salvaguardare le risorse ambientali, tutelare il territorio anche come risorsa culturale e luogo della memoria. Le politiche ambientali comunitarie e la convenzione europea sul paesaggio hanno indicato una diversa strada, con valutazioni preventive per governare anche le trasformazioni e il recupero dei contesti degradati. A partire dal riconoscimento della cultura materiale come valore documentale di una civiltà.

Un’ottica diversa da astratti valori idealistici del paesaggio, che per lungo tempo hanno orientato le politiche di tutela e conservazione in rigide categorie interpretative, che estende l’osservazione all’insieme dei fenomeni che determinano la struttura e la configurazione ambientale di ogni luogo della vita quotidiana. Su tale substrato va quindi crescendo la consapevolezza di un diverso rapporto col territorio, un approccio sistemico che amplia i punti di vista e quindi innova la progettazione e la pianificazione paesistica, vivificandone la funzione proattiva rispetto a quella meramente vincolistica. Per il Parco Sud milanese questa diversa ottica è fondamentale e può rappresentare un salto di qualità. In tal senso non v’è dubbio che alcune eccellenze sono leve per smuovere l’attenzione sull’importanza di un Ecomuseo e per ricostruire una più complessa trama conoscitiva della struttura territoriale e culturale di un contesto caratterizzato da alcuni preminenti tematiche. Le abbazie sono fulcri di una triangolazione, misurano un territorio che rimanda alla sua storia, rappresentano una preminenza nel paesaggio, non solo come testimonianza e valori monumentali ma come presenza, solo apparentemente silente, perché attiva nella ripresa della comunità monacale. Un richiamo di fondamentale importanza per l’identità della cultura europea, per la dimensione ecumenica e per la razionalità di un messaggio che fonda le proprie radici nell’interiorità umana. È questa interazione tra dimensione spirituale e materiale che ancora opera per un avanzamento della civiltà rispetto ad astratte ideologie. Chiaravalle, Viboldone, Mirasole, Monluè, ma pure Morimondo e la più lontana Cerreto uscendo dai confini istituzionali del Parco, sono segni inconfondibili di un contesto ed hanno rappresentato un significativo fattore di resistenza a fenomeni espansivi dettati da interessi settoriali. Si può affermare che ciò non sia un caso? Sì, leggendo quanto fondamentale questi insediamenti sono stati per strutturare il territorio ancor oggi della più ricca regione agraria del paese: Un obiettivo che aveva le sue ragioni nella sopravvivenza, che solo una visione integrale dell’uomo sarebbe stata in grado di perseguire rispetto ad avversità diversamente insormontabili.

Ma la ragione ecomuseale del Parco Sud non può che relazionare questa originaria identità con l’evidenza di altre valenze della contemporaneità che caratterizzano la varietà della sua configurazione, con le interrelazioni di un ambiente e di un paesaggio in divenire. Ovvero, il rapporto che intercorre tra monumenti, territorio agricolo, cascine e borghi sparsi, grandi infrastrutture, e frange urbane di una periferia che si affaccia sul Parco. La storia del secolo scorso e di un presente aperto a nuove politiche di riequilibrio urbano e territoriale. Una riqualificazione che ha proprio nel suo affaccio sul Parco la sua maggiore opportunità, ribaltando quella “piramide dei valori” che fino ad oggi ha determinato i fenomeni di emarginazione dei bordi urbani. Un policentrismo in grado di sviluppare una equipotenzialità territoriale, di valorizzare l’ambiente, di superare perimetri e confini, con nuove relazioni funzionali e fruitive tra edificato ed aree libere, tra verde di vicinato e d’area vasta, con trame e percorsi ecologici non ricondotti a mere virtualità da una pianificazione ambientale attestata su dettagli, rinunciataria di una narrazione proiettiva d’ampio respiro. E per quanto riguarda, quindi, la specificità contemporanea di un Ecomuseo del Parco Sud alcune connotazioni sono fondamentali e possono essere richiamate come temi di conoscenza e approfondimento: l’attestamento dell’Autostrada del Sole, spina dorsale della ricostruzione e dello sviluppo del paese nel secondo dopoguerra; la Company town di Metanopoli, i grandi quartieri popolari del margine tra le radiali di corso Lodi e Ripamonti, il Parco del Porto di Mare con memoria di un’incompiuta navigabilità fluviale. Ma sono solo alcune, a ridosso della contemporaneità, di un ambito territoriale tutt’ora interessato da importanti progetti di trasformazione e anche minacciato da proposte di insediamenti impropri di grandi funzioni. Su questa trama di relazioni fisiche e concettuali, tra secolari processi di trasformazione del paesaggio e più recenti fenomeni antropici, si fonda l’ipotesi di promuovere lo sviluppo dell’idea dell’Ecomuseo, per ricostituire una identità territoriale, superare contrapposizioni e conflitti. Le criticità che attanagliano la sostenibilità ambientale hanno raggiunto una tale soglia da indurre un profondo ripensamento dei modelli di sviluppo e degli stessi strumenti disciplinari, con la consapevolezza della irreversibilità oltre un certo limite. L’immagine sulla controfacciata dell’abbazia di Chiaravalle, richiamata nell’incipit di questa nota, è nel contempo metafora e indicazione di una strada percorribile. Il primo piano della laboriosità monacale, la intrapresa di una trasformazione epocale che avrebbe cambiato la storia ribaltando il punto di approccio, accerchiando la città murata non più con armamenti ma con la fondazione di un nuovo paesaggio produttivo per il bisogno di tutti. Ma anche si potrebbe dire della più travagliata vicenda degli Umiliati a Viboldone nelle relazioni con la città e il consolidamento della sua moderna struttura economica. E ancora, con la storia di ogni abbazia che si riconnette alla trama territoriale della Storia.

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