I luoghi della Città metropolitana

UCTAT Newsletter n.38 – ottobre 2021

di Elio Bosio

Un Sindaco che vince le elezioni al primo turno non ha bisogno di di consigli. Ancor meno un assessore all’Urbanistica che si è che si è affermato con un numero record di preferenze. Tuttavia, se non a loro, alcune cose già dette senza ottenere ascolto è il caso di ribadirle. Giuseppe Sala nel corso del suo primo mandato ha svolto con successo il ruolo di Sindaco di Milano, ma ha rinunciato ad essere Sindaco della Città Metropolitana. Il suo drenare ogni possibile investimento privato verso la città centrale, cosa che gli ha indubbiamente giovato in termini di consenso, rischia di procurargli nei prossimi anni qualche non piccolo problema, poiché una città per dirsi davvero grande deve generare un robusto sistema urbano esteso al territorio circostante ed ai sui centri.

Da quando sono nate le prime società urbane, le città hanno costruito la loro grandezza sviluppando un sistema territoriale esteso ben oltre le mura cittadine e quando questo sistema si è incrinato è iniziata loro decadenza. Un assioma da cui è obbligatorio partire per operare anche sulla città del nostro tempo.[1] Anche se Milano negli ultimi decenni non si è dimostrata particolarmente generosa nei confronti dei comuni del suo “hinterland”, assistiamo oggi a un aggravarsi della frattura tra il “capoluogo” e gli altri comuni metropolitani. Alcuni di essi hanno perso la loro rilevanza a livello locale e nazionale a causa della dismissione totale o in corso delle grandi attività insediate, è il caso della Falk a Sesto San Giovanni e dell’Eni a San Donato Milanese. Altri comuni stanno subendo una preoccupante crisi dovuta alla progressiva dissoluzione di un importante tessuto di piccole e medie imprese artigianali e industriali. Eppure – è il caso di ribadirlo per l’ennesima volta – esistono spazi adeguatamente serviti, anche dal sistema dei trasporti, in grado di accogliere alcuni di quei complessi direzionali che stanno colonizzando – non rigenerando – a macchia di leopardo parti dell’ultima periferia di Milano. Questo inseguire la grandeur senza formulare un progetto di sviluppo della metropoli, oltre ad aggravare la crisi economica e sociale dei piccoli e medi centri, sarà foriero nel medio periodo di gravi problemi anche per la città centrale. Interventi autoreferenziali come quello ampiamente pubblicizzato di Symbiosis a sud dello Scalo Romana danno luogo a una lievitazione dei prezzi immobiliari nell’immediato contesto senza introdurre in esso alcun elemento di rinnovamento e riducendolo a quella condizione che i geografi urbani indicano zona di transizione, ovvero territorio residuale disponibile a futuri e non programmati consumi e indifferente alle dinamiche sociali. L’avvicinarsi sempre più ai confini comunali, anziché produrre un positivo recupero di paesaggi urbani sfioriti, contribuisce a compromettere con la sua accidentalità un territorio dislocato lungo i confini dei comuni tanto poco progettato quanto prezioso. Un territorio che alterna luoghi tra loro diversi, a volte campagna altre volte nucleo residenziale o deposito di funzioni giudicate incompatibili con le zone più centrali, quasi sempre – con l’eccezione dei non numerosi parchi – considerato marginale e di nessun interesse. Territorio, questo, che potremmo tolkenianamente definire Terra di Mezzo, collocato ai margini e proprio per questo prezioso poiché, come ha scritto Paola Aina riflettendo sul progetto Porto di Mare, “le possibilità che stanno nascoste in questo luogo sono date proprio dalla sua residualità”. Uno spazio strategico ai fini della costruzione della città metropolitana, dove sperimentare la compresenza e la simbiosi di funzioni e paesaggi fra differenti, da fecondare con nuovi modi di residenzialità e dove praticare un modello di mobilità affrancato dall’assoluta preminenza, dell’interesse privato su quello della collettività poiché le scelte a essa relative costituiscono aspetto fondamentale di un progetto di metropoli che trasformi quelli adesso sono considerati spazi residuali in un esempio di felice fusione di luoghi dell’abitare, del lavoro e di un tempo libero che non può continuare a essere speso e sprecato nelle zone “trendy” frutto delle scelte delle società immobiliari.[2]

Bisogna ritornare a studiare e praticare l’Urbanistica, quella disciplina “che studia il fenomeno urbano nella sua complessa interezza onde fornire su di esso dati conoscitivi interessanti i singoli suoi aspetti e le reciproche loro interrelazioni, poiché possano eventualmente venire utilizzati per meglio orientare le molte azioni di carattere politico, legislativo, amministrativo e tecnico che continuamente vengono a mutare la realtà di un territorio” secondo la definizione ancora attuale formulata mezzo secolo fa da Lodovico Quaroni.[3] Urbanistica, un termine che, forse per la complessità degli argomenti che tocca, si è preferito cancellare anche dalle leggi della Regione Lombardia in materia del territorio. Non possiamo, però, restare indifferenti quando vediamo che il Comune di Milano sostituisce l’assessorato all’Urbanistica con l’assessorato alla Rigenerazione urbana. Perché un’idea di cosa essa sia per la Regione Lombardia ce la siamo fatta con la legge numero18 del 2019, osteggiata a suo tempo dal Comune di Milano non per la sua aberrante concezione della cura del territorio, nei fatti condivisa, bensì per una mera questione di mancato introito di oneri di urbanizzazione.

Non sarà facile il compito dell’assessore Maran, chiamato ad occuparsi della Casa e del Piano quartieri. Se qualche ragione c’è in quanto scritto sopra, egli non potrà nella nostra Terra di Mezzo affidarsi esclusivamente o principalmente agli interventi di urbanistica tattica, ma dovrà fare i conti con il progetto di un territorio che non appartiene soltanto a Milano.  Se nel corso della precedente consigliatura si è occupato di poche grandi opere in pochi luoghi della città adesso, da adesso in poi se vorrà imprimere una forte connotazione al proprio ruolo in Giunta, sarà costretto a occuparsi di tante opere, meno imponenti, in tante parti del territorio e in primo luogo non dovrà mai smettere di ricordare a Giuseppe Sala di essere anche il Sindaco della Città Metropolitana.

Nel corso di un recente incontro a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio, Sala ha elencato i problemi dell’edilizia popolare, in primo luogo quelli dei 70 mila appartamenti gestiti da Mm e da Aler e della necessità di un grande piano di ristrutturazione dei quartieri loro affidati.[4] I fondi del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (Pnrr), tuttavia, non potranno essere destinati esclusivamente alla riqualificazione poiché il bisogno di alloggi sociali dovrà essere soddisfatto anche con la realizzazione di nuove abitazioni. In questo incontro sembra di capire che si sia parlato soltanto del Comune di Milano, a meno che quando, come riporta la stampa, Sala chiede che “si guardi alle grandi città come terreno per sperimentare la possibilità di investire” si riferisca non a Milano ma alla Città Metropolitana. Un simile impegno necessita di un organismo di pianificazione e gestione quale un tempo era il Consorzio intercomunale milanese per l’edilizia popolare (Cimep), improvvidamente liquidato, ma di ciò non si sente parlare, anche se non è ragionevole pensare che il tema della casa possa essere affrontato senza un saldo coordinamento tra tutti i comuni della metropoli. Milano ha sempre preteso di risolvere autonomamente il problema della casa, rinunciando in tempi passati a un effettivo confronto con il Cimep, del quale pure faceva parte. Di quella scelta costituisce esempio il Piano Casa elaborato nei primi anni Ottanta, oggetto allora di forti discussioni e i cui risultati furono oggetto di giudizi non unanimi.[5] La differenza sostanziale tra quel tempo e i nostri giorni è data dal fatto che, allora, i comuni dell’area metropolitana trovarono nel Cimep una forte struttura politica e tecnica di coordinamento che rese possibile impiegare le importanti risorse poste in campo dalla legge numero 457 del 1978 “Norme per l’edilizia residenziale” per un progetto di forte impatto sociale e territoriale.

Un’ultima considerazione, questa volta non riferita ai livelli di governo regionale e locale ma al governo centrale. Dopo tanti mesi di generale entusiasmo per il “Superbonus 110%”, uno studio riservato dell’Enea mette in discussione questo provvedimento, classificandolo come “moral hazard”. Un articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera riassume le riserve espresse da questo studio, che evidenzia come rispetto al vecchio Ecobonus – che richiedeva la partecipazione economica di chi ne fruiva –  con le misure attuali “l’efficacia ambientale è di circa il 28% inferiore per ogni euro investito e infatti, pur spendendo più del doppio di prima, si arriva solo a modeste riduzioni supplementari delle emissioni”.[6] Rinviando alla lettura dell’interessante articolo, è importante ricordare come almeno una parte dei tanti miliardi (circa 14) destinati al Superbonus avrebbe potuto essere meglio impiegata per incentivare un processo di riorganizzazione e rinnovamento del settore edilizio (tecnologia e organizzazione del lavoro), di rigenerazione (questa volta il termine sembra appropriato) delle città, anche con interventi di integrale sostituzione di alcune sue parti, vanificati adesso da un frettoloso e costoso investimento per rinnovarne il rivestimento. Le strade del centro di Milano, dove il prezzo delle abitazioni supera i 10 mila euro al metro quadrato, sono costellate dai ponteggi del Superbonus. Un regalo a proprietari che sicuramente sarebbero nelle condizioni di contribuire economicamente alle opere di adeguamento degli edifici e denaro che avrebbe trovato migliore destinazione in quell’edilizia sociale di cui tanto si sottolinea l’urgente bisogno.


[1] Una interessante chiave di lettura di questo fenomeno si trova in Woolf Greg, Vita e morte delle antiche città. Una storia naturale, Einaudi, Torino 2021

[2] Cfr. Giorgio Goggi, Le insidie dell’urbanistica milanese, Biblion Edizioni, Milano 2021

[3] Voce Urbanistica in Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, Istituto Editoriale Romano, Roma 1969

[4] Maurizio Giannastasio, Sala incontra Draghi: un piano case popolari, Corriere della Sera (Milano), 14 Ottobre 2021

[5] Cfr. Andrea Balzani, La fantasia negata. Urbanistica a Milano negli anni ottanta, Marsilio, Venezia 1995

[6] Federico Fubini, Il caro prezzo per lo Stato del Superbonus al 110%, Corriere della Sera, 10 Ottobre 2021

Parco di Porto di Mare.
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