UCTAT Newsletter n.30 – gennaio 2021
di Fabrizio Schiaffonati
La tematica del decentramento amministrativo delle città è stata ed è al centro del dibattito. Oggi se ne sente ancor più la necessità, con la crescita del disagio sociale e dei bisogni delle periferie. Un problema posto con forza negli anni Sessanta con il primo Centrosinistra. Una istanza riformista che si coniugava con l’esigenza di una diversa qualità urbana. Una domanda di partecipazione politica ai processi decisionali propria dei numerosi spontanei comitati di quartiere e dei movimenti di contestazione.
La legge Gui del 1969 istituì le Ripartizioni per tutte le città di più di cinquantamila abitanti. Milano e Bologna furono tra le più attive, anticipando lo stesso dettato della legge. Ma più di cento furono le città in cui questo processo partecipativo prese avvio (B. Dente, A. Pagano, G. Regonini, Il decentramento urbano: un caso di innovazione amministrativa, Edizioni di Comunità, 1978). Milano istituì quindi i 20 Consigli di Zona. In una dialettica anche contrappositiva tra Consiglio comunale e Zone circa i poteri decentrati di natura consultiva, con un bilancio d’ordinaria amministrazione.
Passata l’ondata partecipativa sessantottina e post, si è assistito a un visibile riflusso. Anche con il successivo raggruppamento delle 20 Zone in 9 Municipi. Strutture abbastanza efficienti per i servizi anagrafici, con biblioteca e vigilanza civica, ma di fatto poco frequentati dalla popolazione. Diversi da caso a caso, ma in generale poco identitari rispetto agli storici quartieri. E nel contempo con il Comune sempre meno identificato come interlocutore diretto dei bisogni. Un problema tanto più critico nelle grandi città.
Con l’istituzione della Città Metropolitana si impone una ulteriore riflessione sulla necessità di chiarire i livelli del sistema delle decisioni civiche e delle modalità di partecipazione alle scelte da parte della popolazione. Un percorso che procede con grande difficoltà, anche confusamente dopo la legge Delrio del 2014 che lascia molte ombre sul ruolo del governo metropolitano in generale. Un problema di grande rilevanza per Milano, in ragione della sua configurazione a galassia, per dimensione demografica e per il multiculturalismo che ormai la distingue.
Un tema che, anche se indirettamente, si è posto con la revisione del PGT, dove emergono diverse questioni identitarie per le zone della città, come la localizzazione delle Grandi Funzioni Urbane e il rilevamento dei ben 88 NIL, Nuclei d’Identità Locale. Una città dove i grandi investimenti immobiliari e la loro natura sovranazionale segnano sempre più una distanza dall’identità e dai bisogni locali.
È questo il tema socio-urbanistico di questa nuova fase. La capacità cioè di riportare al centro partecipazione e condivisione, una popolazione attiva per una democrazia deliberativa. Superando momenti consultivi del tutto esornativi.
Nodo non semplice, che è della crisi politica attuale. Su cui si gioca lo sviluppo democratico, rispetto a forme autoritarie sempre più presenti nei sistemi decisionali complessi. Autorevolezza versus autoritarismo. Condivisione versus delega. Fratellanza versus individualismo. Competenza versus ignoranza. Missione versus potere. Società versus “Palazzo”. Nella tradizione democratica di Milano.
Per individuare modi e dimensioni conformi della Nuova Città, non solo nell'”economia dell’immagine” su cui Milano si è già ampiamente esercitata, un nodo fondamentale è il potere reale da affidare ai Municipi, come pure quello sovraordinato della Città Metropolitana.
UCTAT è già intervenuta per promuovere il dibattito, sollecitare contributi, soprattutto in questa fase di altissima criticità, che esige risposte urgenti.
Con le forze politiche decisamente in crisi. Mai come ora le risposte “dal basso” sono necessarie, responsabili e fondate su conoscenze, per uscire dallo stallo tra jaqueries e soluzioni autoritarie. E mai come ora la partita si gioca nelle città.
I Municipi possono diventare la dimensione conforme di una “città intermedia“, dove è possibile identificarsi nella costruzione del futuro di una struttura civica che decide sui propri problemi. Una dialettica complessa e difficile, in cui il conflitto si stempera nella responsabilità della condivisione.
Problematica con cui le scienze sociali dovrebbero confrontarsi, rispetto alla latitanza odierna che agevola la peggiore politica. La stessa dialettica che dovrebbe investire la Città Metropolitana.
Due scale per uno sviluppo equilibrato del territorio, e una diversa logica anche negli attuali strumenti urbanistici, di scarsa efficacia proattiva, congiunturali e burocratici.
Avverte il sociologo Aldo Bonomi (Corriere della Sera, 31/12/2020), “si deve uscire dalla logica del potere piramidale, quella dei grandi flussi finanziari e della globalizzazione a cui di fatto partecipano tutti. La città orizzontale vive nei quartieri, ha il suo motore nella cittadinanza condivisa”. Ed ancora “occorrono nuove forme di rappresentanza: anche qui orizzontali per dare voce e visibilità a chi ne è privo”. Un monito e una preoccupazione del tutto condivisibile per dar spazio a un nuovo rinascimento urbano, da tempo auspicato ma mai politicamente praticato, perché come sottolinea Bonomi “manca l’empatia con i cittadini e con il territorio. La politica piramidale è quella spettacolare che parla di sé e non risolve i problemi reali”.
