Rigenerazione urbana e criticità nell’attuazione del Piano di Governo del Territorio

UCTAT Newsletter n.41 – gennaio 2022

di Elena Mussinelli

Nel contesto italiano, la rigenerazione urbana rappresenta per certi versi l’ultimo step di un percorso legislativo e programmatorio che , già dalla fine del secolo scorso, ha posto l’attenzione al problema del recupero urbano prima (coi Programmi di Recupero Urbano previsti dalla legge n. 493 del 1993) e della ristrutturazione urbanistica poi (con la legge 457/1978 e il DPR 380/2001), per giungere alla stagione dei cosiddetti programmi complessi, con l’obiettivo di far fronte all’obsolescenza funzionale e tecnica del patrimonio e all’emergere di fenomeni di dismissione e degrado fisico e ambientale delle città. Quindi per riqualificare e adeguare l’ambiente costruito a nuovi standard esigenziali e prestazionali, con ciò limitando nuove espansioni e consumo di suolo.

In questo percorso, la rigenerazione urbana – dalle nozioni di urban regeneration, urban renewal, urban rehabilitation, urban reactivation dell’esperienza anglosassone che, già negli anni sessanta aveva iniziato a coniugare promozione economica, miglioramento fisico ed edilizio e programmi assistenziali per gruppi sociali sfavoriti – si caratterizza per accentuare la specificità di interventi pubblici e privati capaci di attivare processi complessi rivolti non solo alla dimensione fisico-spaziale della città o delle sue parti, ma anche di incrementarne i valori socioeconomici, culturali e ambientali.

È importante sottolineare la natura processuale e sistemica della rigenerazione urbana, molto più complessa rispetto alle tradizionali forme di intervento sul costruito, per la necessità di innescare fenomeni di trasformazione estesi e multi-obiettivo, che coinvolgono al contempo misure urbanistiche, sociali, culturali, economiche e fiscali.

L’esperienza internazionale ci mostra come le strategie di rigenerazione di molte città europee, da Parigi a Barcellona, da Lione a Monaco, abbiano individuato e perseguito due obiettivi prioritari tra loro integrati:

  • lo sviluppo socioeconomico (rilanciando il mercato del lavoro e l’occupazione con la creazione e l’attrazione di nuove imprese) e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione su temi quali l’abitazione e i servizi;
  • la riqualificazione ambientale, rispetto ai temi della mobilità, delle emissioni inquinanti e climalteranti, del consumo di risorse non rinnovabili e del risparmio energetico, della gestione dei rifiuti, del riutilizzo di aree e manufatti dismessi e/o degradati, della limitazione del consumo di suolo.

Basti richiamare l’esempio della Grande Lione, con una strategia di reinfrastrutturazione e la localizzazione i nuovi tecnopoli alla scala vasta della Communauté urbaine, con il Pian Blue, il Plan Vert, il Plan Lumiere, il Plan d’amanagement dell’espace public, il Plan de protection du patrimoine architectural urbain, il Plan de Développement des Espaces Naturels, ecc., che già a partire dagli anni 90 hanno dato luogo a centinaia di interventi tanto nelle aree centrali della città quanto nelle sue periferie, dal quartiere storico degli Etats Unit di Tony Garnier, alla banlieu de Les Minguettes.

Quindi certamente interventi di trasformazione e sviluppo immobiliare, ma anche e soprattutto progettualità integrate e coordinate capaci di riverberarsi in modo diffuso oltre i confini dei singoli ambiti di intervento, con benefici misurabili attraverso strumenti che integrano la valutazione tecnico-finanziaria con indicatori relativi alla dimensione sociale e ambientale.

Francesco Karrer (recentemente nominato dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili nella Commissione che ha il compito di elaborare uno o più provvedimenti di riforma organica delle norme in materia di pianificazione del territorio e standard urbanistici e di riscrivere Testo Unico dell’edilizia) faceva recentemente notare che simili strumenti, di prassi in diverse città europee, sono ancora poco utilizzati in Italia, dove l’efficacia della rigenerazione urbana non è quasi mai valutata perché ciò non è richiesto per legge, non è ancora nella sensibilità degli operatori e nemmeno in quella delle pubbliche amministrazioni, che pure dovrebbero orientare la rigenerazione alla massimizzazione dell’interesse pubblico e collettivo.

Nel contesto milanese, le trasformazioni urbanistiche dell’ultimo decennio, con sviluppi immobiliari che hanno generato volumetrie complessivamente molto rilevanti, hanno effettivamente innescato processi di rigenerazione urbana diffusa? Solo in parte.

La realizzazione di obiettivi integrati di rigenerazione è infatti ancora lontana e sembra procedere in modo discontinuo, più seguendo occasioni contingenti che non perseguendo un disegno urbanistico e ambientale di piano.

Le potenzialità derivanti dall’impiego degli strumenti perequativi e compensativi, ad esempio, sono state scarsamente orientate all’attuazione di una strategia di diffusa riqualificazione ambientale del paesaggio e dello spazio pubblico nei tanti luoghi delle periferie, ma non solo, che ancora versano in condizioni di degrado e abbandono. Ma la perequazione non aveva tra le sue finalità anche quella di favorire e supportare il disegno e l’attuazione della “città pubblica”?

Per non parlare poi del problema della riduzione del disagio abitativo, che pure rappresenta uno degli obiettivi centrali della rigenerazione urbana. Lo stesso Sindaco Sala, in una recente intervista, ha riconosciuto che “negli anni passati c’è stata una sovra offerta di appartamenti a prezzi molto alti”, aggiungendo che “è quindi ora che i costruttori capiscono che devono fare case a 3-4.000 € al mq”, salvo poi precisare che “per tanti sono già tantissimo”… Oggettivamente, mi sembra che anche qui siamo ancora molto lontani dal dare risposte alla domanda sociale reale.

Gli esiti attuativi, inoltre, testimoniano di una scarsa innovazione nel binomio piano urbanistico/progetto urbano. Vi è ancora una insufficiente attenzione al rapporto con il più ampio contesto e con le preesistenze ambientali, con interventi quasi sempre conclusi in sé stessi, risolti nella loro autonoma configurazione morfologica e di immagine. E manca anche una chiara relazione tra questi progetti architettonici e urbani e una visione di piano che orienti la complessiva riqualificazione del sistema degli spazi pubblici e del paesaggio. Così rischiando di perdere un’occasione for­se unica per l’amministrazione di svolgere un ruolo importante di regia pubblica per il coordinamento di azioni sistematiche di miglioramento della qualità ambientale e fruitiva delle periferie, anche rispetto a condizioni croniche di sotto dotazione di infrastrutture e servizi. Condizioni che impongono interventi di tipo strutturale di adeguamento, ben diversamente da quanto avviene con le modeste progettualità e gli inconsistenti investimenti dell’urbanistica tattica.

Infine, la mancanza di questa visione appare in contrasto con la puntigliosa attenzione posta dal PGT al controllo degli interventi sotto il profilo della loro conformità alle norme morfologiche. Norme prescrittive piuttosto vincolanti, finalizzate a contrastare l’attuazione di interventi non adeguatamente motivati dal proponente il cui impatto volumetrico non sia ritenuto compatibile con il paesaggio urbano. Norme tuttavia derogabili previo parere positivo della Commissione per il Paesaggio. Sfuggono i criteri guida di tale normazione, la cui derogabilità è di fatto lasciata alla valutazione qualitativa di un organo consultivo, peraltro nominato e non eletto.

Da un lato, infatti, non emerge una particolare sensibilità alla tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici della città di Milano, né di quelli della città storica, né di quelli della sua modernità (che pure ne costituiscono un importante tratto identitario); anzi, la maggior parte delle realizzazioni, da City Life a Porta Nuova, ma anche le recenti proposte per gli scali e per San Siro, testimoniano piuttosto della loro cancellazione, per una passiva adesione a linguaggi architettonici e spazialità urbane molto lontane dalla caratteristica sobrietà milanese, pienamente ascrivibili all’immagine globalizzata e spettacolarizzata di quello che Phlippe Daverio acutamente chiamava design del real estate.

Dall’altro lato, considerato anche il dichiarato obiettivo del piano di favorire la densificazione e concentrazione volumetrica, non sono state esplicitate indicazioni chiare o linee guida circa le più corrette soluzioni morfologico-ambientali da adottare rispetto a fattori site specific quali l’orientamento, la ventilazione, il soleggiamento e l’ombreggiamento, il mantenimento di visuali libere, lo Sky View Factors, l’Urban Aspect Ratio che interpreta la morfologia del tessuto edificato in contrasto al cosiddetto effetto canyon urbano, o altri analoghi indicatori che pure vengono comunemente impiegati per la valutazione della qualità ambientale e fruitiva dello spazio urbano. Una scarsa chiarezza delle regole che viene così vissuta dai progettisti come elemento discrezionali di interdizione.

La rigenerazione urbana richiama tutti a un salto di qualità, in primis l’amministrazione, per indirizzi più chiari, per azioni più strutturali e maggiormente rivolte ai bisogni reali della città e dei suoi abitanti, e gli operatori, per una più consapevole adesione agli obiettivi anche sociali e ambientali del loro agire.

© G. Castaldo.
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