Tutelare la risorsa di Porto di Mare

UCTAT Newsletter n.34 – maggio 2021

di Paolo Debiaggi

L’altro giorno mi trovavo con un amico a pedalare nella periferia milanese. Dopo il solito giro tra i Navigli e la campagna di cintura metropolitana, ci troviamo a passare per l’abbazia di Chiaravalle e poi nell’area di Porto di Mare. Dopo aver percorso la strada bianca del Parco della Vettabbia gli propongo di provare la pista per mountain-bike disegnata nella parte meridionale di Porto di Mare, l’area recentemente ripulita e presa in gestione da Italia Nostra.  Pedalando in questo bel contesto di straordinaria rinascita naturalistica dico al mio amico “Vedì.. questa sì che è una vera rigenerazione urbana in atto.. speriamo che l’amministrazione comunale la sostenga e l’accompagni con le azioni corrette..”.. “Ma se non stanno costruendo nulla!” risponde lui “di che rigenerazione urbana stai parlando? Milano è piena di grandi interventi.. speriamo che arrivino anche qui! Dalla in mano a un immobiliarista potente mica alle associazioni che non hanno una lira!” “Scusa” allora gli dico “ma tu preferisci pedalare dove siamo adesso oppure a City life, alla biblioteca degli alberi o a cascina Merlata?” “Ma che domande..” fa lui “qui, è ovvio, siamo in mezzo alla natura.. là è tutto finto!” Il mio amico non ha le idee chiare, ma lo capisco.

Il marketing politico spesso suggerisce al circuito mediatico l’utilizzo di parole chiave come rigenerazione urbana, sostenibilità ambientale, eco-compatibilità,.., usate per descrivere le grandi operazioni di trasformazione della città. Termini per lo più svuotati dal loro significato, inidonee a rappresentare ciò per cui vengono utilizzate, ma sicuramente utili a raccogliere il consenso presso un uditorio di cittadini oramai assuefatto ad una modalità di informazione fatta di slogan e mai di approfondimento.

Il vero significato del termine rigenerazione urbana risiede, come già ho ricordato nella Newsletter n.14 di UCtat del luglio 2020, nella sua accezione «che obbliga ad andare oltre le più frequentate e note nozioni di “recupero”, “riuso” e anche “riqualificazione”, da intendere come un’azione, pubblica e/o privata, che determina un accrescimento di valori economici, culturali, sociali in un contesto urbano o territoriale esistente». Riportandosi ad una definizione normativa, la LR 31/14 della Lombardia ha definito la rigenerazione urbana come “insieme coordinato di interventi urbanistico-edilizi e di iniziative sociali che includono: la riqualificazione dell’ambiente costruito, la riorganizzazione dell’assetto urbano attraverso la realizzazione di attrezzature e infrastrutture, spazi verdi e servizi, il recupero o il potenziamento di quelli esistenti, il risanamento del costruito mediante la previsione di infrastrutture ecologiche finalizzate all’incremento della biodiversità nell’ambiente urbano.” Nel suo senso più profondo e condiviso disciplinarmente “la rigenerazione urbana dovrebbe ridisegnare i modelli di intervento: l’intervento edilizio non è il cuore del programma, ma uno degli ambiti di intervento funzionali al miglioramento delle condizioni di vita dei residenti nell’area interessata; gli interventi devono puntare a uno sviluppo sostenibile e hanno nella riduzione di CO2 e nella transizione energetica uno degli obiettivi prioritari; sono inoltre integrati e presuppongono nuovi livelli di partecipazione da parte degli abitanti e forme innovative di partenariato pubblico e privato.”

L’area di Porto di Mare rappresenta per Milano e i milanesi un’opportunità per dotare la città e qualificare questa periferia con un grande polmone verde, una volta tanto senza corredarlo con montagne di nuovo cemento. Il processo è già in atto, bisogna solo sostenerlo e completarlo.  Si tratta di un’area di dimensioni notevoli, nella periferia sud-est, posta proprio a ridosso del quartiere Corvetto. Rappresenta un luogo in cui poter sperimentare la compresenza di servizi pubblici urbani e tutela dei caratteri naturalistico-ambientali. E’ un area di frangia, di soglia tra tessuto urbano e Parco agricolo sud.

Dopo essere stata sottratta per quasi un secolo ai cittadini con una previsione mai attuata di farne la nuova Darsena, prospettiva che ne ha impedito la prosecuzione dell’attività agricola, dal 2013 è rientrata nelle disponibilità del Comune.  Da allora si sono registrati periodici annunci di una sua prossima organica riqualificazione, alcune lodevoli iniziative, ma rimangono diverse questioni tuttora in attesa di risposta.

Nel 2016 il sindaco Pisapia e l’allora Ministro dell’Economia Padoan, in conferenza stampa, annunciavano il grande risultato raggiunto, la creazione di una commissione tra Comune e Stato per effettuare l’analisi dei terreni, a cura di Metropolitana Milanese, e avviare le bonifiche e la riqualificazione dell’area. Parte dei fondi necessari per queste operazioni sarebbe stata detratta dalla quota che il Comune avrebbe dovuto pagare allo Stato per l’acquisto dell’area. L’allora direttore del settore Pianificazione tematica e Valorizzazione delle aree del Comune di Milano, affermava “La gestione diretta del processo di riqualificazione di Porto di Mare rappresenta una straordinaria opportunità per l’Amministrazione che, conoscendo bene le istanze e i bisogni dell’area, sarà in grado di pianificarne e controllarne al meglio lo sviluppo urbanistico”. Sembrava proprio arrivato il momento del riscatto per quest’area, abbandonata per decenni alla compromissione parziale dei suoli attraverso scavi e sversamenti illeciti, lasciata alle occupazioni abusive, divenuta luogo di attività illecite e famoso centro di spaccio di droga.

Alcune lodevoli iniziative da parte del Comune sono state da allora registrate, come lo sgombero dei campi nomadi abusivi o l’assegnazione in concessione ad alcune associazioni culturali e cooperative sociali di alcune cascine storiche parzialmente degradate presenti nell’area e meritevoli di recupero (cascina Casottello, porzioni della cascina Nosedo, cascina San Giacomo, cascina Carpana..). La sistemazione del Parco Cassinis nell’ambito nord più prossima alla stazione della metropolitana, offre aree attrezzate per lo svago e lo sport all’aria aperta, risultando particolarmente apprezzato e fruito dalla comunità locale. Diversi tratti di pista ciclabile sono state realizzate nell’immediato contorno dell’area, integrandola da una parta al circuito urbano, dall’altra alla rete ciclabile periurbana. Il sostegno del Comune al progetto OpenAgri, in una partnership che coinvolge diversi soggetti del mondo universitario, associativo e imprenditoriale, centrato sulla ricerca e sviluppo di forme di agricoltura innovativa peri-urbana e finanziato dalla Comunità europea, prevede interventi di recupero della Cascina Nosedo e il coinvolgimento nel progetto dei terreni agricoli circostanti.

L’assegnazione ad Italia Nostra dal 2017 degli ambiti meridionali dell’area, per anni resi inaccessibili dall’incuria, ha dimostrato come un po’ di presidio, cura e manutenzione della vegetazione siano state sufficienti per ridimensionare il problema del cosiddetto boschetto della droga. La partecipazione di molti cittadini e volontari nelle attività di presidio e pulizia, ha permesso di rendere fruibile l’area, integrarla ai percorsi del vicino parco della Vettabbia, facendo scoprire a molti concittadini quanto questo luogo sia prezioso come polmone verde urbano e porta di accesso al parco agricolo sud, ripristinandone i valori paesaggistici, naturalistici e integrandola nel percorso delle cascine storiche e verso l’emergenza della vicina abbazia di Chiaravalle.

La speranza sarebbe che l’amministrazione comunale, nel caso di Porto di Mare, fosse realmente interessata a favorire un processo di vera rigenerazione urbana, attraverso l’attivazione di un percorso decisionale del tipo botton down (partecipazione dal basso), attivandosi in un corretto ruolo di regia, mettendo a disposizione le aree pubbliche per la valorizzazione delle risorse e iniziative locali. Regia che dovrebbe definire il disegno complessivo per la ricercata rigenerazione sociale, paesaggistica e ambientale di un’importante area cittadina di proprietà pubblica (collettiva, di tutti noi cittadini), indicandone funzioni e regole insediative, progettando il suo rinnovato scheletro infrastrutturale, il suo cronoprogramma di attuazione, precisando le aree da riqualificare ad opera pubblica, disciplinando le modalità tecnico-costruttive all’insegna della sostenibilità, lasciando poi, eventualmente, l’implementazione, anche per parti, a privati e associazioni, ma secondo un preciso quadro organico di obiettivi e modalità condivise. Questa regia pubblica si renderebbe in particolar modo necessaria data la fragilità ambientale dell’ambito, sia in termini socio-economici, sia in quanto oggetto di forti limitazioni in termini geologico-idraulici (attività estrattive esercitate e emergenza della falda), sia di vincoli e caratteri paesaggistico-ambientali per la sua appartenenza al complesso quadro normativo del Parco Agricolo Sud.

Senza dover inventare nulla, la strumentazione urbanistica nazionale attribuisce al Comune la definizione attuativa particolareggiata delle aree più sensibili del territorio comunale al fine di esercitare la propria funzione di indirizzo e controllo della trasformazione del bene collettivo. Attraverso il Piano Particolareggiato vengono definite le modalità, le regole, gli interventi pubblici e privati, i costi, i tempi,.., insomma, le volontà pubbliche in cui si esprimono le politiche urbane. Il percorso decisionale del piano attuativo di iniziativa pubblica proprio per la sua natura di definire le scelte che riguardano il bene di tutti, prevede un iter approvativo che coinvolge il Consiglio comunale, ovvero il luogo dove dovrebbero essere rappresentati sia gli interessi della componente politica che governa sia la sua opposizione. Inoltre, proprio per definire la massima trasparenza di questo percorso decisionale verso i cittadini, il Piano attuativo prevede anche una fase di pubblicazione dei suoi atti e la possibile espressione di osservazioni da parte di chiunque ne sia interessato.

Se questo sarebbe l’auspicato percorso da seguire, la realtà purtroppo sembra prospettare altro. Anche per Porto di Mare questa amministrazione sembra proseguire nella sua mancanza di strategia urbana e ambientale, se non quella di delegarne totalmente la definizione e attuazione all’iniziativa privata. L’elaborazione di un piano attuativo organico per l’intera area non sembra proprio essere una priorità dato che sul sito del Comune alla voce attuazione del PGT per l’area di Porto di Mare si legge: “con Deliberazione di G.C. n. 1568 del 31.07.2014 è stato avviato il procedimento per la redazione degli atti di pianificazione attuativa, di iniziativa pubblica”. Probabilmente c’è stato un cambio di rotta.

Risulta attualmente pubblicato un bando del Comune per assegnare a privati l’area della ex discoteca Karma, un complesso di fabbricati e padiglioni localizzato nel cuore dell’ambito di Porto di Mare, abbandonati e dismessi dopo la forzata chiusura del locale da ballo avvenuta nel 2017. Quest’area con una superficie di 32.500 mq., si costituisce come margine tra l’ambito sud più naturalistico e la parte nord-ovest frammentariamente edificata. Secondo il Bando, quest’area verrà assegnata in diritto di superficie per 90 anni a privati che vorranno valorizzarla, anche attraverso la demolizione dell’esistente e la nuova costruzione, secondo le previsioni del PGT. Le funzioni insediate dovranno prevedere l’insediamento prevalente di funzioni generali di interesse pubblico – ai sensi dell’art.16.4, “In pendenza della Convenzione Quadro, negli Ambiti destinati alla GFU, sono sempre ammessi gli interventi per la realizzazione di servizi pubblici e/o di interesse pubblico o generale”, tra quelle previste nel Catalogo dei Servizi del Piano dei Servizi del PGT, con la possibilità di insediare funzioni private. La proposta progettuale dovrà riguardare anche la sistemazione delle aree esterne pertinenziali (attualmente adibite a parcheggio), considerando in particolare che sono collocate a ridosso del sistema di aree verdi di Porto di Mare e che sono inserite nel perimetro del Parco Agricolo Sud Milano.

In realtà il PGT adottato, seppur nella sua laconicità, prevede per l’ambito edificato di Porto di Mare l’insediamento di Grandi Funzioni Urbane e l’art.16 che disciplina modalità e attuazione di questa previsione, proprio per la strategicità che viene attribuita a questi ambiti, specifica che, se non esplicitamente previsti graficamente nella tavola R2 specifica, così come non lo sono nel caso di Porto di Mare, non vadano trasformati per parti o sottoambiti, ma ne vada garantita una trasformazione secondo strategia e attuazione unitaria.

Dovrebbe risultare chiaro all’amministrazione comunale e ai suoi servizi tecnici, che impegnare parti dell’ambito da riqualificare con progetti parziali, possa inficiare la possibilità di recupero e rigenerazione organica dell’insieme.

Stralcio della TAV.R02 del PGT.

Evidentemente, seppur il contesto ambientale richieda un approccio ben diverso, peraltro auspicato genericamente anche nella documentazione a corredo del Bando e soprattutto dalle previsioni e dalle Norme del Piano di Governo del Territorio, anche questo ambito,  viene interpretato come un vuoto da riempire, in assenza di una visione d’insieme in grado di finalizzarne la riqualificazione, delegando totalmente il privato a farsi carico non solo dell’attuazione, ma anche della definizione dei contenuti delle politiche urbane.

L’unico documento di indirizzo prodotto a supporto del Bando è di una approssimazione e pochezza sconcertante che rivela l’assoluta mancanza di volontà e/o capacità di esercitare la propria funzione di regia. Oltre a non fornire alcun indirizzo per la riqualificazione dell’area, se non alcune limitazioni funzionali (non più discoteca e niente sexy shop e centri massaggi), dimostra anche una assoluta inconsapevolezza e mancanza di conoscenza delle caratteristiche stesse dell’area e dell’ambito in cui questa è inserita. C’è un passaggio esemplare di questo pressapochismo. Nella descrizione dei servizi dell’area, alla voce “allacciamento alla fognatura”, si riporta: “da verificare l’effettivo allaccio alla fognatura comunale”.. se non lo sa nemmeno un settore tecnico dell’amministrazione comunale stessa chi dovrebbe saperlo?

Gli aspetti ambientali e paesaggistici sono riportati nella mera riproposizione dei numerosi vincoli a cui l’area è sottoposta, senza una indicazione di merito e di metodo con cui il futuro utilizzo dell’area debba rapportarsi a tale sensibilità. Nulla viene specificato in termini di accessibilità all’area, se non genericamente riportando che “l’accesso viabilistico, così come quello pedonale, sono garantiti da una strada a fondo chiuso che si sviluppa perpendicolarmente alla via Fabio Massimo, la cui svolta, sulla destra, avviene subito dopo la Cascina Casottello.” Più che da un settore tecnico questa indicazione sembra espressa da un vigile urbano..

Nessuna indicazione rispetto a specifiche prescrizioni dimensionali e modalità tecnico realizzative per indirizzare eventuali nuove costruzioni ammesse, rimandando la decisione sui contenuti e qualità delle proposte ricevute con l’attribuzione dunque dell’area per i prossimi decenni, alla “valutazione della documentazione di gara e delle offerte verrà affidata ad una Commissione giudicatrice, nominata successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle offerte” che opererà secondo la solita articolata e astrusa applicazione di punteggi e coefficienti con cui la burocrazia cerca di far credere che una valutazione di questo tipo possa essere affrontata con criteri scientifici.

Che dire.. alla faccia di ogni sbandierata forma di partecipazione pubblica, fuori da ogni tracciabile processo di formazione della decisione politica e, soprattutto, nemmeno lontanamente associabile ad un vero percorso di rigenerazione urbana.

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