Un paesaggio dimenticato

UCTAT Newsletter n.38 – ottobre 2021

di Fabrizio Schiaffonati

A quattro chilometri da Piazza del Duomo, nella zona sud-est della città, i Parchi di Porto di Mare e della Vettabbia rappresentano una valenza ambientale e paesaggistica di indubbia eccezionalità. Una realtà che si è andata affermando, pur fra tante contraddittorie decisioni e disattenzioni che tutt’ora ne inficiano le potenzialità, e in alcuni casi rappresentano una vera e propria minaccia. 

La vicenda del Porto di Mare rimanda a un secolo fa, quando fu avanzata la proposta del Canale navigabile Milano-Cremona-Po. Un progetto iniziato con le prime escavazioni già negli anni Venti del Novecento, confermato dal Piano Regolatore Generale del 1953 che ne riportava il tracciato, il disegno delle banchine portuali e il collegamento fluviale con i Navigli del sud-ovest. Un’opera all’epoca lungimirante, nella prospettiva di valorizzare il trasporto merci su vie d’acqua, come in molti Paesi europei, che per diverse ragioni e impedimenti non è poi stato portato a compimento; anche se nel secondo dopoguerra si è dato corso alla realizzazione delle relative strutture in corrispondenza del previsto sbocco a Cremona nel Po. Una zona diventata quindi industriale nelle previsioni di allora.

Quando negli anni Settanta è apparso chiaro che il progetto veniva abbandonato e si andava verso la soppressione del Consorzio del canale navigabile, la grande area, dagli insediamenti Gescal di piazzale Gabrio Rosa e viale Omero del quartiere Corvetto fino alla Abbazia di Chiaravalle, era interamente occupata dal bacino lacustre che avrebbe dovuto essere quello del Porto. Un vero e proprio lago, con risorgive, dalle sponde articolate percorribili pedonalmente, lungo le quali era cresciuta una vegetazione spontanea lacustre. Una risorsa che consentiva anche la balneazione, la pesca sportiva, un luogo molto frequentato nelle giornate festive dalla popolazione non della sola zona. Con quella vivacità e spontaneità del dopoguerra, per la presenza di ambulanti, e anche nella zona di via Fabio Massimo di un insediamento abusivo di casette di immigrati con dei piccoli orti e giardini. Un vero e proprio villaggio di varia umanità di cui si è persa la memoria, e che rimanda al neorealismo di “Miracolo a Milano” e “Il Tetto”. 

Un patrimonio ambientale eccezionale che la città si ritrova, e che avrebbe dovuto salvaguardare e potenziare. Quello che invece non fu fatto, con la dissennata decisione di utilizzare l’escavazione per una discarica di rifiuti solidi urbani. Una delle tante scelte improvvide che oggi ci presentano il conto.

Pressoché assenti le opposizioni nel Consiglio di Zona dell’appena istituito decentramento amministrativo, con interventi di tecnici e amministratori comunali che caldeggiavano quella dissennata scelta.

Così per decenni si è proceduto al riempimento con rifiuti e poi alla formazione di veri e propri rilevati collinari, con i fuochi fatui notturni, l’ammorbamento dell’aria e l’inquinamento del terreno. Su questa bomba ecologica, esaurita la capacità recettiva, è stato progettato e poi insediato l’attuale Parco di Porto di Mare. 

Un progetto che non porta alcuna traccia di questa storia, un segno d’acqua e i tracciati pedonali e ciclabili che conducevano dal Corvetto a Chiaravalle; con la vegetazione che, per fortuna, anche spontaneamente ha avviato un processo di rinaturalizzazione dello strato che ricopre la discarica. Ciononostante e immemori del vulnus passato, quanto ancora rimarrebbe da fare per completare l’assetto del Parco non si fa strada. Permangono ancora macroscopiche ferite, come l’abusivismo su aree comunali lungo le vie San Dionigi e Fabio Massimo, che si sviluppa anche in vicoli verso l’interno con attività precarie, qualche migliaio di metri quadrati di coperture in amianto, inquinanti e pericolose per la salute pubblica. Una situazione paradossale con gravi responsabilità da parte di chi avrebbe l’obbligo di provvedere.

Ma minacce ancor maggiori ricorrentemente si prospettano. Come nel recente passato le diverse proposte di insediare sull’area svariate funzioni a elevato impatto: il nuovo Palazzo di Giustizia, lo Stadio, ora più genericamente una Grande Funzione Urbana come nella revisione del Piano del Governo del Territorio del 2020, e poco prima di un insediamento commerciale e nuove volumetrie in un progetto urbanistico del Comune.

Come voler colmare un vuoto, insensibili a questa sorta di hub ambientale, a questa “cerniera paesaggistica” che si connette al Parco Sud, alla confinante Metanopoli, fino alla Abbazia di Viboldone in Comune di San Giuliano.

Un parco urbano, ma anche di cintura perché a sud della via San Dionigi, e in continuità col Porto di Mare, si è consolidato il nuovo Parco della Vettabbia, un parco di grande bellezza perché mantiene inalterate le coltivazioni agricole nell’alta loro valenza anche figurativa, con ancora le visibili emozionanti tracce delle secolari marcite cistercensi.

A costituire quindi un unicum che lo sguardo può abbracciare, subito alle porte della città, che rimanda alla storia e ad antiche memorie planiziali.

Il più recente Parco della Vettabia rappresenta quindi una ulteriore opportunità, anche per un coerente progetto dell’architetto Marco Prusicki. Una vicenda che prende le mosse negli anni Ottanta dalla contrastata realizzazione del Depuratore di Nosedo. Una necessità che si è trasformata in una opportunità di tutela e sviluppo della fruizione pubblica del verde.

Questo in breve sintesi un patrimonio ambientale che di giorno in giorno appare sempre più ai cittadini come un patrimonio minacciato, da difendere e potenziare.

Per questo alcune recenti iniziative e decisioni non possono non sollevare allarme e preoccupazione. 

Il riferimento in particolare va alla concessione in diritto novantennale di ben 36.000 metri di un’area strategica. Il cosiddetto “Parco delle rose”, nel recente passato già oggetto di aspre contestazioni per la presenza della discoteca Karma che per anni ha rappresentato un disturbo per le ben note forme di gestione e quant’altro. La stessa sigla, che dopo una coatta chiusura e il trasferimento dell’attività sullo Scalo Romana, ritorna (con un unico concorrente alla gara bandita dal Comune) a riproporsi con inquietanti prospettive per gli abitanti della zona, per i fruitori e per la tutela del Parco che significa anche non inquinamento acustico, sicurezza e salute delle persone.

Ma non è la sola preoccupazione: una più recente iniziativa mette a bando anche l’affidamento a privati della grande Cascina Carpana, con le stesse modalità.

Quindi in assenza di un organico piano-progetto complessivo di Porto di Mare-Vettabbia, un progetto sociale in cui dovrebbe prevalere l’interesse pubblico con una strategia culturale che la questione ambientale ha fatto emergere in tutta l’urgenza.

UCTAT su questa questione ha già richiamato l’attenzione, puntuale e circostanziata. La newsletter di ottobre ritorna sul tema, con ulteriori contributi per sollecitare e incalzare quanti per dovere e per sensibilità hanno a cuore le questioni del Porto di Mare e non solo.

Porto di Mare, anni Cinquanta.
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